ALFONSINA: UNA STRADA CONTRO IL MASCHILISMO

 

Michele Vargiu racconta con Alfonsina Strada con il suo monologo "Perdifiato"

 


È andata in scena al Zō Centro Culture Contemporanee, nei giorni 30 novembre e 1 dicembre, la pièce teatrale Perdifiato, prodotta dall'associazione sassarese Vaga, di e con Michele Vargiu, per la regia di Laura Garau. Lo spettacolo fa parte della stagione 2024/2025 proposta da Palco Off a Catania.

Il testo ha la struttura del monologo, e racconta la storia della ciclista di strada Alfonsina Rosa Maria Morini, passata alla storia con il suo nome da celibe, Alfonsina Strada.

L'attore ripercorre la storia di Alfonsina a partire dalla sua infanzia a Castenaso, nei pressi di Bologna, in un ambiente segnato dall'indigenza e da malattie quali tifo, tubercolosi e pellagra, tra il lavoro agricolo e le messe domenicali.

Vengono sviscerati, durante il monologo, i pregiudizi di genere fortemente radicati nell'Italia di un secolo e mezzo fa (Alfonsina nasce il 16 marzo del 1891), e tuttavia ancora attuali. Stereotipi e pregiudizi spiattellati ad Alfonsina sin dai suoi primi giochi infantili, con frasi fatte come "questi non sono giochi da femmine", che non attecchiscono in una personalità ostinata e fiera come quella della protagonista.

Anche quando si trova per la prima volta davanti a una bicicletta, un rottame acquistato dal padre di Alfonsina, Carlo Morini, dal medico del paese, Alfonsina non si fa abbattere dalle logiche patriarcali del padre e dal divieto di quest'ultimo di usare la bicicletta e, disobbedendo, monta in sella e scopre la sua più grande passione: il ciclismo di strada.

Di questa passione la giovane, ancora in età preadolescenziale, ne fa uno sport, partecipando a diverse gare di nascosto dai genitori, ai quali mentiva dicendo di recarsi in chiesa per partecipare alla messa domenicale.

Secondo alcune fonti, alla sua prima gara, che si tiene a Reggio Emilia, vince un maiale vivo. E anche su questo aneddoto l'attore pone l' accento sottolineando come, nel momento in cui, grazie a un premio vinto in gara si poteva sfamare un'intera famiglia, ogni stereotipo di genere perso terreno, e nessuno ha avuto più da ridire sul fatto che una donna andasse in bicicletta e, addirittura, gareggiasse.



La madre di Alfonsina, però, le dice che per continuare a correre in bicicletta deve sposarsi e andare via casa. E così fa Alfonsina quando, prima di iniziare la sua carriera di ciclista, conosce Luigi Strada, meccanico e cesellatore, nonché suo primo sostenitore e manager, se ne innamora e lo sposa, all'età di ventiquattro anni. Come regalo di nozze riceve una bicicletta da corsa.

Nel 1907, va a Torino, città dove era stata fondata l'Unione Velocipedistica Italiana, e nella quale le donne su due ruote non erano motivo di particolare scandalo. Qui la giovane ciclista batte la famosa Giuseppina Carignano e si aggiudica il titolo di «miglior ciclista italiana». Viene poi notata da Carlo Messori che la convince ad accompagnarlo al Grand Prix di Pietroburgo 1909, in Russia, dove la futura campionessa riceve una medaglia dallo zar Nicola II. Messori diventerà poi il suo secondo marito quando rimarrà vedova di Luigi Strada.

I pregiudizi incontrati prima di iniziare la sua carriera inseguono Alfonsina durante tutto il suo percorso. Subisce gli scherni degli altri concorrenti, e spesso anche quelli del pubblico, ma nulla di tutto questo la fa desistere e la sua strada è costellata di successi.

Nel 1911 gareggia a Moncalieri e stabilisce il record mondiale di velocità femminile, superando quello stabilito otto anni prima dalla francese Louise Roger. Nel 1912 viene notata da Fabio Orlandini, corrispondente della Gazzetta dello Sport da Parigi, che la raccomanda ad alcuni impresari francesi, così Alfonsina stipula un contratto per le gare su pista nella capitale.

Il 1917 è l'anno del Giro do Lombardia: Alfonsina chiede di iscriversi presentandosi alla Gazzetta, il quotidiano organizzatore, e ci riesce, non essendoci nessuna regola che impedisce l'iscrizione alle donne. Gareggia insieme a campioni conosciuti, come ad esempio Costante Girardengo, che alla fine della corsa si complimenta com lei poiché, anche se a vincere é il belga Philippe Thys, Alfonsina è comunque l'ultima tra coloro che hanno completato il tragitto, a un'ora e mezza dal vincitore, insieme a nomi come Sicbaldi e Auge. Dopo di lei molti avevano rinunciato alla corsa.

Anche in questa occasione la presenza di una donna in gara suscita derisione e commenti malevoli e intrisi di sessismo, ma Alfonsina si iscrive l'anno successivo successivo alle gare ciclistiche in Lombardia, e nel novembre del 2018 arriva ventunesima.

«Vi farò vedere io se le donne non sanno stare in bicicletta come gli uomini»

È questa una delle citazioni per le quali viene ricordata la Strada. E l'attore è stato abile nel saper incastrare tale provocazione fra le battute ilari del monologo e le parti più specificatamente narrative del testo. Durante il monologo Vargiu, sfoderando un talento esplosivo e uno spiccato istrionismo che non guasta, si diverte a ironizzare sulle frasi fatte, permeate da una forma mentis tradizionalista e maschilista, alle quali gli abitanti del paese di nascita della protagonista, ma non soltanto, credevano come se fossero dei veri e propri comandamenti religiosi. Cita anche una discorso del filosofo Cesare Lombroso, secondo il quale chiunque corresse in bicicletta era un probabile ladro.



L'attore inoltre interpreta diversi personaggi che hanno fatto parte della storia personale di Alfonsina, dai genitori di Alfonsina al parroco del paese, al secondo marito, non soltanto per raccontare la storia di lei, bensì per illustrare anche la storia di un Italia nella quale, inevitabilmente, si innestano le vicende di Alfonsina. Un'Italia che non è pronta ad accogliere le donne nel ciclismo, così come nello sport in generale.

Alfonsina Strada continua infatti a collezionare successi dopo il 1918, ma non l'avrà vinta sul maschilismo. Anche se riesce comunque a muovere le coscienze e a far ricredere anche i giornalisti più irriverenti e più scettici, conquistando tutti con il suo indomito coraggio. Nel 1924 partecipa al Giro d'Italia, e ad ogni tappa riceve ovazioni e regali da parte del pubblico e dei suoi ammiratori. Nell'ottava tappa (L'Aquila-Perugia) arriva fuori tempo massimo, quattro ore dopo il vincitore, e alcuni giudici non la vogliono estromettere dalla gara. Decidono però di farla gareggiare senza conteggiare i suoi tempi ai fini della classifica.

La giovane continua ugualmente verso la successiva tappa di Bologna, anche nonostante le ostili condizioni meteorologiche, arriva a Bologna accolta da una folla esultante, e la tappa Bologna-Fiume (415 km) la impegna per ben 21 ore consecutive. Alla fine del Giro d'Italia il suo nome compare fra i trenta "superstiti" della gara. Erano ben novanta i ciclisti partiti all'inizio da Milano.

Anche se negli anni successivi, Alfonsina Strada non ha più potuto iscriversi al Giro d'Italia, poiché era ancora intollerabile che una donna sfidasse gli uomini (e non solo alle gare ciclistiche), ebbe ulteriori successi dopo il Giro del 1924. Ad esempio nel 1937 riuscì a battere a Parigi la campionessa francese Robin, a uno dei primi campionati del mondo femminili (non ufficiali).

Ma la Strada aveva comunque da tempo vinto la sfida più importante: dimostrare a tutta Italia che anche le donne possono gareggiare su una bicicletta da corsa. Che anche loro possono puntare agli stessi traguardi (sportivi e non) cui puntano gli uomini.

 

Francesca Sanfilippo

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