All'Auditorium di Via Zurria a Catania uno spettacolo con protagonisti Tempio e Cyrano

 


Giovedì 27 e Venerdì 28 giugno è andato in scena a Catania, all'Auditorium del Centro Polifunzionale di via Zurria, “Miciu e Cirano sulla luna”, spettacolo teatrale scritto dal giornalista e scrittore Giuseppe Lazzaro Danzuso, per la regia di Angelo d'Agosta, attore, regista e autore, che nella pièce ha interpretato proprio Hercule Savinien de Cyrano de Bergerac, più noto in Italia come Cyrano de Bergerac, e con Andrea Balsamo, talentuoso musicista folk, il quale ha interpretato il poeta catanese Domenico (Miciu) Tempio.

Lo spettacolo fa parte della trama di eventi artistici e culturali promossi nella rassegna Corra la voce di Buongiorno Sicilia, finanziata nell'ambito di Palcoscenico Catania 2024 dal Comune di Catania e il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali. Giuseppe Lazzaro Danzuso aveva già dedicato a Micio Tempio, nell'ambito della stessa rassegna, due incontri di cultura letteraria e teatrale in cui si è discusso del poeta catanese, intervistando niente di meno che il pronipote Antonio Domenico Tempio, ricercatore dell'Università di Catania, il quale ha affermato:

«Anche se non abbiamo prove dirette del vero carattere del poeta, credo che non fosse poi così lontano da come veniva rappresentato sulla scena: malinconico e sarcastico allo stesso tempo.»

Lazzaro Danzuso ha voluto restituire così al pubblico catanese un'immagine onesta di Domenico Tempio, ricordato ingiustamente come un poeta pornografo. Inoltre la scelta dell'ambientazione è stata ispirata da un'opera letteraria, L'altro mondo o Gli stati e gli imperi della luna (L'autre monde ou Les états et empires de la lune, 1657, romanzo fantastico) di Savinien Cyrano de Bergerac, scrittore francese del seicento che in realtà, sebbene non sia passato alla storia per questo, fu un precursore della letteratura fantascientifica.

Oltre all'originalità della scrittura, una delle cifre di questa pièce, accolta con favore ed entusiasmo dal pubblico, dal presidente di Buongiorno Sicilia, Simone Trischitta, e dal presidente del Consiglio comunale di Catania, Sebastiano Anastasi, è la commistione diversi registri e svariate tipologie di teatro: maschere, che i due attori indossano per tutta la durata della rappresentazione, e che richiamano le fattezze dei due scrittori protagonisti; tecniche del teatro dei burattini, che i due protagonisti useranno in un dialogo brillante e carico di autoironia; tecniche del teatro classico. Tale commistione si sposa con l'estro della penna di Lazzaro Danzuso, ma è anche un tratto distintivo dello stile di Angelo d'Agosta, regista e attore molto acclamato, del suo modo di fare teatro, come ha già dimostrato nel suo spettacolo Ulisse all'Inferno, che vanta molte repliche, e nei suoi laboratori teatrali condotti al Monastero dei Benedettini di Catania. Gli oggetti di scena, tra cui maschere e burattini, sono opera di Menonèmo, per l'aiuto regia è stato prezioso il contributo di Agnese Failla.

La scena si apre con i due protagonisti che irrompono alternativamente tra le file del pubblico. Dapprima è Tempio a interpellare Cirano. Poi dopo aver fatto entrambi un'entrata ad effetto salgono su un palcoscenico la cui scenografia è essenziale: un mappamondo in cartapesta, su cui si affacciano due marionette che hanno le sembianze dei protagonisti, sacchi neri e azzurri per l'immondizia, che anticipano uno dei temi trattati nella pièce, e un carrello della spesa, dove i due protagonisti ripongono gli oggetti che "rubano" dalla spazzatura del mondo.



Miciu e Cirano, dopo la loro morte, si sono ritrovati insieme sulla luna. E da più di duecento anni sono lì, da soli, gli unici due esseri umani esiliati sul nostro satellite. Servendosi di un telescopio osservano Catania, amata e mai dimenticata da Tempio, proprio come Cirano non ha mai dimenticato Rossana, e come ogni poeta non dimentica mai la donna che ruba il suo cuore e che funge da musa per i suoi versi. Osservano, attraverso quella finestra simbolica che è interNet, per mezzo di un telefono cellulare, la Terra. Non più quella che hanno lasciato, ma il mondo del terzo millennio d.C. Significativa, a tal proposito, è una frase che Tempio dice a Cirano, immaginando di vivere nella nostra epoca:

«Oggi saremmo due barboni, clochard che mangiano alla mensa dei poveri, dormono per strada e fumano culazzi. E le nostre poesie, forse, sarebbero i testi di quelle canzoni rap che abbiamo ascoltato ieri sui nostri cellulari.»

Questa affermazione introduce un momento di grande impatto dello spettacolo, durante il quale, sulle note di una base musicale rap, i due poeti cantano citando i versi delle loro poesie, ma non soltanto. Ciò che ha reso questa scena più completa, capace più di tutte le altre di arrivare al cuore degli spettatori di ogni generazione, sono le citazioni di una perla della tradizione cantautorale italiana: la canzone "Cirano", di Francesco Guccini.

Tuttavia non c'è dell'autoreferenzialità nelle parole che comunicano i due poeti, che oltre a raccontarsi discutono sull'unico spettacolo loro concesso: il mondo che osservano dal satellite nel quale sono confinati. Commentano l'eruzione dell'Etna, a Catania, la diffusione dei social fra i giovani e in generale fra gli esseri umani. Gli incendi di guerra in Europa. E qui viene introdotta una delle opere fondamentali della produzione letteraria di Micio Tempio: La Carestia. Il tema della guerra accende gli animi dei due, in particolare quello di Cirano, spadaccino abile e dal temperamento sanguigno, famoso per il suo odio nei confronti dei potenti e dei prepotenti di ogni sorta, ma soprattutto per la sua capacità di metterli in ridicolo grazie ai suoi versi taglienti. Domenico Tempio ebbe invece una vita diversa da quella del suo compagno di esilio lunatico. Poeta catanese nato nel 1750, entrò a far parte dell'Accademia dei Palladii e frequentò il salotto letterario del mecenate Ignazio Paternò principe di Biscari. Autore di opere come La Caristia, La scerra di li Numi, L'Odi supra l'ignuranza, La Maldicenza Sconfitta, Tempio viene considerato un precursore del Verismo italiano. Per la sua vicinanza a Ignazio Paternò e ai salotti letterari più importanti di Catania, viene accusato da Cirano, che probabilmente dà voce alle concezioni errate da sempre condivise da molti intellettuali, di essere un servitore dei potenti.

Ed è in questo frangente che le due personalità dei protagonisti, diversi ma in fondo simili, esplodono in un conflitto che richiama anche la contrapposizione tra la gioventù e la senilità, l'età della saggezza. Miciu tenta di far capire al guerrafondaio e impulsivo Cirano che non è sempre con il sangue e con lo scontro diretto che si risolvono le ingiustizie e i conflitti, dimostrando la sua natura moderata e, contrariamente a quella del suo compagno di sventura, incline al dialogo e al compromesso. Ma chiunque studi le opere di Tempio si accorge che nonostante il suo carattere temprato lui era molto vicino al popolo catanese vessato dai potenti, e critica anche il potere ecclesiale, come si evince ne "La scerra di li Numi". Non provava dunque indifferenza di fronte agli abusi di potere, ma era altresì un autore tagliente e capace di forti denunce sociali, e probabilmente questo gli fu fatale, in quanto le sue opere furono censurate e ne fu ostacolata la divulgazione. Per questo Miciu fu stigmatizzato come poeta licenzioso e pornografo. È anche questa un'accusa che Cirano gli muove durante un loro diverbio.

Eppure tra un litigio e l'altro, tra una battuta salace e un confronto su tematiche scottanti di attualità, i due letterati rivelano anche il loro comune amore per la gente, per la vita, per i piaceri carnali, le pulsioni e le passioni. Ma soprattutto ad unirli, ed è questo il punto di partenza e di arrivo di “Miciu e Cirano sulla luna” è la comune sorte dei due letterati: il privilegio (o la condanna) di non riuscire a morire, a dissolversi nel nulla, di vivere per sempre nell'eco vibrante dei loro scritti

 

Francesca Sanfilippo

 

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