La storia di due autrici che si sono fatte strada in un ambiente letterario ostile, riscoperte solo pochi decenni addietro

 


A cavallo fra il 1800 e i primi decenni del 1900, le donne che scrivevano, in tutta Europa e nel mondo intero, faticano ad affermarsi nel panorama letterario, e molte sono costrette a firmare i loro manoscritti utilizzando pseudonimi maschili. Un esempio è dato dalle sorelle Brontë, nella letteratura britannica. Ma loro non sono le uniche.

In questo periodo storico, in Sicilia erano già emersi nomi come quelli di Luigi Pirandello, Elio Vittorini, Giovanni Verga, Luigi Capuana, Nino Martoglio. E pian piano, riuscirono a crearsi un varco nella dimensione letteraria siciliana, due donne: Elvira Fortunata Maria Giuseppa Mancuso Lima, e Maria Messina.

Elvira Mancuso


La prima nasce nel 1867, a Caltanissetta. Il padre, Giuseppe, era un avvocato, e quella di Elvira era una famiglia facoltosa ma, nonostante il ceto socio culturale elevato, ancora influenzata dall'arretratezza culturale che allora caratterizzava il Mezzogiorno d'Italia. Fu per questo che Elvira dovette lottare contro la resistenza dei suoi genitori per studiare, ma alla fine riuscì a far valere i suoi diritti e si laureò in Lettere all'Università degli studi di Palermo.

La caparbietà di questa giovane donna trovò la sua espressione nel suo lavoro di maestra elementare, professione svolta per tutto l'arco della sua vita con il principale intento rivoluzionario di garantire anche alle bambine il diritto all’istruzione, indispensabile affinché queste ultime, e per estensione tutte le donne, potessero emanciparsi dai ruoli tradizionali di subordinazione familiare.

Elvira Mancuso, a fine secolo XIX intraprende una corrispondenza con Luigi Capuana, del quale ammira lo stile, ma questi non le dedica in realtà troppa attenzione. Nonostante ciò, a partire dal 1889 riuscì a pubblicare i suoi primi racconti sulla rivista letteraria “Cornelia”, ma fu costretta ad utilizzare degli pseudonimi, anche maschili. Le protagoniste dei suoi scritti sono sempre donne, in quanto all'autrice preme descrivere e denunciare la condizione sociale in cui si erano costrette a vivere in quell'epoca.

Pubblica nel 1906 il suo primo romanzo, Annuzza la maestrina. Il personaggio, Annuzza, è chiaramente un alter ego della scrittrice, solo che proviene da una famiglia indigente. La bambina sa che rischia di diventare la moglie di un marito umile e povero di fronte al quale si troverebbe in una condizione di totale subordinazione e così, una volta raggiunta quella che all'epoca era considerata l'età giusta perché una fanciulla potesse sposarsi, combina un fidanzamento di comodo con Pasquale, un giovane benestante.

Pasquale, realmente innamorato di lei, acconsente a pagarle gli studi affinché diventi insegnante elementare, in cambio della sua promessa di sposarlo. Ma dopo aver compreso le intenzioni utilitariste di Anna, ed aver ferito il proprio cugino, il quale lo derideva, il giovane sposò un’altra donna. Anna è già una maestra quando accade questo, e potrebbe a questo punto affermarsi professionalmente ed economicamente, al contrario di molte donne sue contemporanee. Tuttavia, dopo aver accumulato i primi stipendi prende la decisione di rimborsare il suo ex-fidanzato delle spese che ha sostenuto per lei, e questi, sentendosi ulteriormente ferito nel suo orgoglio, ed essendo incapace di accettare la personalità indipendente della ragazza, arriva compiere un atto estremo e terribile: la uccide.

Il romanzo viene recensito con sufficienza da Capuana e non ottiene successo. Ma negli anni ottanta del ventesimo secolo Elvira Mancuso viene riscoperta da Calvino e Sciascia, e il suo romanzo viene ristampato nel 1990 da Sellerio con il titolo Vecchia storia…inverosimile: inverosimile sia nella trama, che richiama una novella di Pirandello poi convertita in opera teatrale, Lumìe di Sicilia, sia negli atteggiamenti finali dei due protagonisti che decidono di chiudere i loro reciproci conti.

È del 1907 il saggio Sulla condizione della donna borghese in Sicilia, nel quale la scrittrice riflette sul fatto che in Sicilia, anche le donne delle classi sociali più agiate erano sottomesse alla volontà dei loro padri e dei loro mariti, vittime anch'esse di un sistema patriarcale e di una cultura maschilista. Ecco alcune parole tratte dal saggio:

«[…] Ebbene, da tutte le conquiste della borghesia, la donna siciliana non ha ricavato che il magro conforto di servire un padrone più libero, più potente, più lieto di vivere. Ella è rimasta, intellettualmente, assai inferiore all’uomo, e la coscienza di questa sua inferiorità la rende sì umile, che la sua perenne sottomissione, il sacrificio continuo dei suoi diritti, della sua personalità, le sembrano cose fatali e necessarie, ordinate dalla natura e da Dio […]».

Aver osservato la realtà delle donne del suo ceto, non solo la spinse a generare consapevolezza grazie ai suoi libri, ma influenzò la sua decisione di non sposarsi mai.

Nel 1909 Elvira pubblica Bagattelle, una raccolta di opere varie, e dopo quest'ultima avventura letteraria, e anni di lotte culturali, si dedicherà esclusivamente al suo lavoro di maestra, ruolo da cui si ritirerà nel 1935.

Morirà a Caltanissetta nel 1958.

 

Maria Messina

Maria Messina nacque a Palermo nel 1887. Il padre, Gaetano, maestro elementare (e successivamente ispettore scolastico), proveniva da Alimena. La madre, Maria Gaetana Valenza-Troina, era originaria della famiglia baronale di Prizzi, ridotta in modeste condizioni economiche.

Maria studiò privatamente, prima sotto la guida della madre e poi sotto quella dell'unico fratello maggiore, Salvatore, che le fu di grande aiuto quando lei mosse i suoi primi passi letterari. La prima residenza della famiglia fu Mistretta, una cittadina a metà strada tra Palermo e Messina, a meno di mille metri dal livello del mare. Era posta su un monte sovrastato dai ruderi di un castello normanno, e da lì si vedevano il Mar Tirreno, le Isole Eolie e, verso sud-est il pennacchio di fumo dell'Etna, il vulcano che troneggia su Catania.

Questi paesaggi furono di ispirazione a Maria per le sue prime novelle, raccolte in Pettini fini (1909) e Piccoli Borghi (1911). Entrambe le opere furono pubblicate dall'editore Sandron di Palermo, il quale era allora uno degli editori più importanti d'Italia. I personaggi della Mistretta, protagonisti dei racconti, vengono ritratti seguendo lo stile verista, e non sono dissimili dai personaggi verghiani di Vizzini o di Aci Trezza, tanto che Maria Messina fu ritenuta a ragione discepola del Verga, col quale ebbe una corrispondenza e dal quale, a differenza della collega Elvira Mancuso con Capuana, ottenne giudizio lusinghiero. Leonardo Sciascia, invece, la definì addirittura "la Mansfield siciliana".

Uno dei motivi più trattati, e più poetici, della prima produzione letteraria di Maria Messina è il mito della Mèrica (termine con cui in siculo veniva definita l'America), che incantò come una sirena molti uomini del meridione d'Italia, presentandosi ai loro occhi come una sorta di terra promessa. In un suo racconto, contenuto proprio all'interno dell'antologia "Piccoli gorghi"' l'autrice descrive la solitudine di una donna, Catena, la quale è rimasta in Sicilia da sola con un figlio appena nato, dopo che il marito è andato in America a cercare fortuna. Le donne sono le prime vittime di questo sogno americano, e sono tante, ed è questo che Maria Messina cerca di comunicare nei suoi racconti. La protagonista sogna di ricongiungersi con il marito, e coltiva questa speranza fino a sfiorare la follia.

Maria Messina aveva un carattere meno battagliero e più remissivo rispetto alla Mancuso, e questo non poteva non riflettersi nelle sue opere, così come i suoi problemi di salute (a vent'anni le fu diagnosticata la sclerosi multipla) condizionarono quella concezione fatalista e rassegnata della vita che fa da sfondo alle sue storie.

A causa del lavoro del padre e, successivamente, degli impegni lavorativi del fratello, Maria fu presto costretta a lasciare la sua amata terra e a spostarsi prima ad Ascoli Piceno, poi ad Arezzo e, dopo lo scoppio della prima guerra mondiale, a Napoli. Lei stessa, con un' espressione tipicamente verghiana, si definiva "un povero uccello senza nido".

Altre sue raccolte antologiche sono:

Le briciole del destino (1918), Il guinzaglio (1921), Ragazze Siciliane (1921).

Scrisse anche fiabe per bambini, e dagli anni 20 in poi si dedicò al romanzo: Primavera senza sole (1920), Alla deriva (1920), La casa del vicolo (1922), Un fiore che non fiorí (1923), Le pause della vita (1926), L'amore negato (1928).

Durante la seconda guerra mondiale si stabilì a Pistoia che, trovandosi sulla cosiddetta Linea Gotica, subì tremendi danni causati dai bombardamenti. A causa degli stessi la casa della scrittrice fu distrutta, e con essa il suo archivio, i suoi libri, i suoi affetti personali. Tali tragedie provarono la psiche della donna, già messa a dura prova dalla sua grave malattia, e accelerarono la sua morte, avvenuta nel 1944.

 

Francesca Sanfilippo

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