La compagnia "La memoria del teatro" ha portato in scena il testo diretto da Silvia Beillard


Si sono concluse nella prima settimana del Fringe Catania Off International Festival le repliche della rappresentazione teatrale Trame, prodotto dalla compagnia milanese La memoria del teatro, per la regia di Silvia Beillard. Lo spettacolo è andato in scena Al Piccolo Teatro della Città, sito a Catania in Via Federico Ciccaglione, nelle date dal 16 al 19 ottobre.

Il testo è stato scritto in coppia da Silvia Bragonzi e Ketty Capra, ed ha una struttura mista che intreccia i dialoghi ai monologhi. Quattro donne sono intrappolate, come mosche in una ragnatela, in un limbo dove sono costrette a eseguire ogni lavoro di sartoria. Nessuna sa perché le loro anime sono in quel luogo. Non si chiamano per nome, inizialmente la loro etichetta è un anno che appartiene alle epoche in cui sono vissute.

Tre fra le protagoniste, quando erano in vita, hanno sfidato le convenzioni sociali, mentre una di loro, la donna che si trova "alla guida del timone", è invece conforme all'ideale femminile esaltato dalla cultura patriarcale e maschilista. La sua personalità collude infatti con quella delle altre donne, molto più solidali tra loro.

Ed è a partire dalle divergenze di opinioni sul ruolo della donna nella società, e ai conseguenti diverbi e conflitti, che si dipana la tela dell'identità di queste donne, delle loro storie, e del rapporto che hanno con la Storia. Una è la pittrice romana Artemisia Gentileschi, nata alle fine del Cinquecento in una Roma in pieno fermento rinascimentale, figlia del pittore Orazio Gentileschi, suo primo mentore. Osservando il talento della figlia, Orazio la iniziò alla pittura. La fanciulla conobbe perfino l'arte del Caravaggio e in poco tempo riuscì ad acquisire una competenza tecnica equiparabile a quella di altri artisti più esperti.



Fra questi ultimi spiccava anche Agostino Tassi, un maestro nella tecnica della prospettiva in trompe-l'œil, al quale Orazio Gentileschi affidò la figlia, al fine di arricchire la sua formazione artistica. Ma il Tassi abusò sessualmente della giovane per poi irretirla con la promessa di un matrimonio riparatore che non avvenne mai. Quando si scoprì che il suo aguzzino era sposato, Artemisia e Orazio lo trascinarono in tribunale.

In quell'occasione la ragazza dimostrò la sua tempra di fronte al suo stupratore, alla Corte, e ai bigotti che l'avrebbero additata per il suo "onore perduto". Prima che si arrivasse a una condanna definitiva per il Tassi, Artemisia fu costretta a molte visite ginecologiche finalizzate ad accertare la veridicità dello stupro, tutte effettuate in luoghi pubblici. Questo aneddoto viene raccontato nella pièce in tutta la sua crudezza grottesca.

Anche lo stupro e il modo in cui è stato consumato, non soltanto viene narrato riproducendo fedelmente con le parole pronuciate dalla pittrice, ma la narrazione viene arricchita con un oggetto di scena: una corda stretta alle gambe dell'interprete che ha impersonato Artemisia, e tirata dalle mani delle altre attrici. Il tutto è stato eseguito con eleganza e senza scadere nella volgarità e nell'enfasi, e ha reso la drammaticità della scena e le emozioni che sente ogni vittima di violenza di genere, in ogni epoca e in ogni parte del mondo, anche grazie al talento dell'attrice, pari a quello delle sue colleghe.



Dopo un vero matrimonio riparatore con Pierantonio Stiattesi, la Gentileschi partorisce tre figli, che ricorda con orgoglio, insieme alla sua carriera artistica. Ed ecco un altro filo che unisce la tela di queste quattro donne: la maternità. Quella negata di Frida Kahlo, ad esempio. La pittrice messicana, da giovanissima subì un grave incidente d'autobus durante il quale un corrimano le trafisse il fianco sinistro, attraversandole l'addome e l'area pelvica, e causandole, tra gli innumerevoli traumi che le costarono ben 32 operazioni chirurgiche e l’infertilità permanente.

Una storia di vita, quella di Frida Kahlo, intensa, ricca di arte, attivismo politico, emozioni, ma intessuta da fragilità e amori tumultuosi, come quello col marito, Diego Rivera. Un destino travagliato, come quello dell'ultima artista in gioco: la scultrice Camille Claudel, sorella dello scrittore, poeta e diplomatico Paul Claudel.

La Claudel intrattenne una relazione extraconiugale con lo scultore Auguste Rodin, il quale la costrinse ad abortire quando Camille rimase incinta. Una delle esperienze più traumatiche della scultrice, oltre all'aborto di quel figlio che lei definisce la sua scultura in carne ed ossa mai portata a termine, e al rapporto difficile e pieno di ombre con entrambi i genitori, fu il ricovero al manicomio di Montfavet, dove morì.

Infine è la volta della donna che, pur essendo prigioniera, gestisce la sartoria-limbo. Lei non è una artista, ma ha cercato riconoscimento sociale nel suo ruolo di moglie e madre. Quando il pubblico comincia a conoscerla si rende conto che anche il rapporto madre-figlio, se costruito con gli attrezzi sbagliati, può sfociare in un aborto d'amore. In un rapporto insano che crea personalità insane. Talvolta, mostri.

Si tratta infatti della madre di un personaggio che ha lasciato un segno nella Storia dei primi decenni del Novecento, esorcizzando la sua paura del "diverso" con la persecuzione di quest'ultimo. Un segno tracciato dall'odio. Lasciamo agli spettatori la possibilità di scoprirlo guardando la pièce.



Attraverso le storie delle protagoniste il pubblico compie un viaggio non soltanto nelle loro vite delle protagoniste, ma anche nella Storia dell'Uomo, un teatro nel quale le donne, oltre ad aver patito gli abusi che ancora oggi devono affrontare, si sono sempre dovute accontentare di sostenere ruoli secondari, o di fare le comparse. A volte invece sono scomparse dietro le quinte. Non è un caso che nei libri di scuola le artiste non vengono mai menzionate, a differenza dei loro colleghi uomini.

Alla memoria collettiva vanno restituite tutte le donne che hanno contribuito a fare la storia, arricchendo il nostro patrimonio artistico e culturale. La compagnia "La memoria del teatro" ha il merito di non aver lasciato nel limbo dell'oblio tre artiste coraggiose e piene di talento, grazie a questa tela drammaturgica in cui sono stati cuciti ad arte monologhi, dialoghi, e musiche. Da ricordare a tal proposito il famoso brano musicale “La LIorona”, che ha accompagnato il monologo dedicato a Frida Kahlo.

Lo spettacolo, nel complesso, risulta un po' didascalico, ma sicuramente denso e indispensabile alla nostra coscienza civile.

 

In scena Cinzia Brugnola, Ketty Capra, Laura Carroccio, Maria Carolina Nardino.

 

 

Francesca Sanfilippo

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