Al Catania Off Fringe Festival è andato in scena "Un estremo atto d'amore"

 


Nei giorni 26, 27, 28, 29 ottobre, al CUT (Centro Universitario Teatrale) di Catania, e in occasione della seconda edizione del Catania Off Fringe Festival, è andata in scena la pièce teatrale Un estremo atto d'amore, della Compagnia GenoveseBeltramo, per la regia di Viren Beltramo, con Riccardo Salvini, Luca Morino e Federico Pianciola. La compagnia è stata accolta con favore dal pubblico e si è anche aggiudicato il Premio Retablo, organizzato dall'associazione di promozione culturale "Retablo", attiva dal 1989 a Catania nella produzione e nella promozione di spettacoli teatrali.

Il soggetto di questa rappresentazione è stato tratto dal libro In nome del popolo italiano. Storia di una malavita, di Claudio Foschini, e prende spunto dall’omonimo radiodramma prodotto in occasione del Premio Lucia, indetto da "Radio Papesse" in collaborazione con Fondazione Archivio Diaristico Nazionale Pieve Santo Stefano.

Le vicende e le riflessioni ri-consegnate nel radiodramma sono di carattere spesso intimistico, ma attraverso la testimonianza di una vita ai margini, all'insegna della devianza, degli eccessi e della criminalità, nel racconto emerge anche il rapporto del protagonista con le regole e con l'autorità. Possiamo dunque affermare che, attraverso la sua autobiografia, viene restituito uno spaccato della società del secolo appena trascorso, anche per quanto riguarda il rapporto tra individualità e collettività.


Claudio Foschini nasce a Roma il 30 luglio del del 1949 nel Rione Mandrione, da una famiglia indigente. Trascorre la sua infanzia negli stenti, nonostante il clima di solidarietà all’interno della famiglia e della comunità di borgata. La madre è costretta ad affidarsi ad un collegio, dove il giovanissimo Claudio subisce i primi atti di bullismo da parte dei compagni di scuola, e i primi soprusi da parte delle figure che avrebbero dovuto educarlo, nello specifico le suore. Inizia quindi in giovanissima età il difficile rapporto tra Claudio e le figure che rappresentano l'autorità, le regole. Poi gli amori adolescenziali e gli amici, con i quali compie i primi furti e le prime rapine. Claudio non sopporta la sua condizione sociale e, come poi affermerà nelle sue memorie, non tollera il fatto di essere costretto a lavorare per due soldi mentre quelli che considera i suoi padroni, più che i suoi datori di lavoro, si arricchiscono grazie al suo sudore. Questa rabbia, insieme a un temperamento irrequieto, ribelle ed emotivamente instabile, e a una perenne insoddisfazione esistenziale, lo spingono a una condotta prima deviante e poi criminale, che egli persegue fino alla morte, avvenuta nel maggio del 2010, quando viene ucciso da una guardia giurata mentre è intento a rapinare una tabaccheria. Nel corso degli anni cade nella voragine della droga e sconta diverse condanne penali. In prigione partecipa a rivolte e soprusi, ma anche al primo convegno sulla detenzione tenuto all’interno di un carcere, a Rebibbia nel 1984, che si conclude con la messa in scena dell’Antigone di Sofocle da parte dei detenuti. Questa esperienza viene vissuta in modo quasi catartico, e lascia un segno nel suo animo. Le parole che danno alla rappresentazione proposta al "Fringe Festival" dalla "Compagnia GenoveseBeltramo", il titolo "Un estremo atto d'amore", sono infatti le stesse e identiche parole che Claudio Foschini usa per descrivere la sua esperienza con il teatro e la sua passione per lo stesso.

Alcuni scampoli della tragedia di Sofocle sono stati inseriti nella pièce, e fungono da voci fuori campo sapientemente intrecciate alle parole del protagonista. Una scelta drammaturgica potente, senza la quale avremo perso molto della caratterizzazione del personaggio/persona protagonista, e della sua storia.

«La tragedia è inserita per due motivi: innanzitutto l’Antigone è l’opera di disobbedienza civile più antica e tramandata, poi per Claudio mettere in scena l’Antigone in carcere è stata un’esperienza rivoluzionaria, a seguito di quella esperienza (la prima in Italia) e al suicidio di un suo compagno di cella lui ha poi deciso di scrivere le sue memorie.»

Queste le parole della regista, Virem Beltramo.

«Le parti che abbiamo scelto sono tratte da vari momenti della tragedia, ognuno dei quali ha un messaggio diverso. A volte è un coro che si interroga, incoraggia o conforta, altre volte è un Creonte che giudica e chiede obbediente disciplina, altre ancora ci riconnette con la parte più intima e sacra. È una delle strade che abbiamo scelto per restituire il tormento di un uomo, condannato all’eterno conflitto fra le prigioni esterne e quelle interne, che sono le peggiori, come scrive lui stesso».


Un tormento che emerge anche grazie alle straordinarie doti attoriali di Riccardo Salvini, che, coadiuvato da due musicisti molto esperti, Luca Morino e Federico Pianciola, ha saputo catturare l'attenzione del pubblico e l'ha mantenuta viva fino all'ultimo istante della rappresentazione, con un magnetismo capace di infrangere ogni barriera emotiva, ma senza mai scadere in un protagonismo isterico ed autoreferenziale, bensì emozionando gli spettatori. A loro l'attore si è donato totalmente, restituendogli un Claudio Foschini profondamente umano, con tutte le sue contraddizioni e le sue sfumature, con i suoi lati torbidi, ma anche con il suo immenso amore per la vita. Il fine ultimo di questa drammaturgia non è stato infatti quello di assurgere Foschini al ruolo di martire, vittima del sistema, né tantomeno presentarlo come un eroe tragico, ma è stato quello di restituire uno sguardo più complesso su di lui e, attraverso di lui, su una realtà dimenticata e in fondo poco conosciuta: quella del carcere. E quindi quella dei detenuti, che nell'immaginario collettivo vengono identificati con i loro reati, disumanizzati, perché nessuno pensa alle loro storie, uniche e particolari. È come se, entrando in carcere, perdessero il loro volto. Durante la pièce il protagonista ha anche sviscerato gli abusi perpetrati dalle forze dell'ordine, e raccontato il modo in cui i carcerati erano e continuano ad essere visti dal resto del popolo italiano. Emerge dunque un ritratto accurato del contesto socio-culturale in cui si innesta la vicenda di Foschini. Ancora oggi, di strada da fare per cambiare la realtà delle carceri in Italia, ce n'è molta. Sebbene non siano più molto frequenti, o comunque non siano all'ordine del giorno, episodi in cui un detenuto o un qualunque cittadino interrogato dalle forze delle forze ordine, viene da queste picchiato ingiustamente e con estrema violenza, le torture in carcere da parte degli agenti non sono mai cessate. Ma soprattutto né le istituzioni, né in generale i cittadini italiani, riescono a pensare al carcere come ad una struttura rieducativa. Lo si considera invece un "tritarifiuti". Prevale nell'opinione pubblica una visione manichea del mondo, dove tutti noi tracciamo sulla nostra lavagnetta mentale una linea netta tra buoni e cattivi, senza contemplare la possibilità del ravvedimento da parte dei presunti cattivi, né la peculiarità delle loro storie personali. Guardare oltre certe rigide dicotomie, oltre le sbarre del pregiudizio, è scomodo per tutti, ma potrebbe rappresentare un passo verso un'evoluzione culturale e umana che ad oggi non si è ancora realizzata. Non in un periodo storico dove i suicidi che si consumano in prigione sono sono sempre più frequenti, e la situazione carceraria in Italia viene considerata ancora oggi, anche da diversi professionisti che l'hanno analizzata e descritta con cognizione di causa, un fallimento dello Stato di Diritto. Ed è per questo che spettacoli come "Un estremo atto d'amore" sono oggi più che mai necessari, in quanto raccontano la nostra Storia attraverso le storie personali di singoli individui, i quali appartengono a categorie che marciscono nell'indifferenza. Perché a queste persone restituiscono un bene che non possono e non devono mai perdere, a prescindere dalla loro condotta, e che definisce appunto la loro esistenza individuale: un volto.

 

Francesca Sanfilippo


ADV ----- >




top