Un anniversario per riflettere sulla situazione in Italia e nel mondo

 

L'11 giugno di 60 anni ci fu suicidio per protesta del monaco buddista Thích Quảng Ðức a Saigon. Chiariamo un po' chi era questo monaco e cosa lo spinge a compiere quell'insano gesto.

Thích Quảng Ðức nacque nel 1897 nel villaggio di Hoi Khanh, in Vietnam centrale (provincia di Khanh Hoa). Le frammentarie informazioni sulla sua vita sono note grazie alla letteratura buddista. Proveniva da una famiglia numerosa, aveva sei fratelli. Il suo nome alla nascita era Lam Van Tuc (in vietnamita Lâm Văn Tức). A sette anni andò a vivere in un monastero buddista di orientamento Mahajána. A vent’anni diventò monaco buddista a tutti gli effetti e prese il nome di Thích Quảng Ðức. Nel 1932 diventa ispettore per i monasteri buddisti e fu responsabile della costruzione di 14 templi. Nel 1934 si trasferì nel Vietnam del Sud e diventò insegnante. Trascorse due anni anche in Cambogia. Successivamente nuovamente fu responsabile della costruzione di templi e sotto la sua supervisione ne vennero costruiti altri 31. Nel 1943 si trasferì a Saigon, dove lavorò come direttore di una commissione che si occupava di riti cerimoniali. Negli anni successivi, divenne una delle principali guide spirituali del buddismo vietnamita.

All’inizio degli anni sessanta nell'attuale Repubblica del Vietnam si inasprì il conflitto religioso. Anche se la religione buddista era dominante, lo Stato era guidato dal presidente autoritario Ngo Dinh Diem la cui famiglia si era convertita al Cristianesimo. Nel maggio 1963, la corruzione dilagante, il favoritismo verso i cattolici nell’amministrazione statale e la mancanza di rispetto del presidente nei confronti della tradizione buddista provocarono scontri in strada a Saigon, durante la repressione persero la vita nove manifestanti. I buddisti reagirono con una scioccante protesta, che si riallacciava a un’antica tradizione, dato che casi di auto-immolazione erano statai registrati in precedenza non solo in Vietnam, ma anche in Cina.

«Secondo Halberstam l’11 giugno 1963 diverse centinaia di monaci buddisti, lasciato il tempio centrale di Saigon attorno alle 10 del mattino, raggiunsero l’affollato incrocio davanti all’Ambasciata. In testa al corteo c’era una berlina blu Austin Westminster, dalla quale scese, all’incrocio, Thích Quảng Ðức, accompagnato da altri due monaci. Uno di loro mise un cuscino sulla strada, su cui Thích Quảng Ðức si sedette nella posizione del loto. L’altro monaco estrasse dal bagagliaio una tanica da cinque litri di benzina e la versò addosso a Ðức. Ðức recitò un breve mantra usato dai buddisti per calmarsi. Poi accese un fiammifero e si dette fuoco. Prese fuoco all’istante. La folla che assisteva alla scena urlava slogan, alcuni piangevano e altri si inginocchiavano al monaco che si era dato alle fiamme. Dieci minuti dopo il corpo senza vita cadde a terra. Quando le fiamme si spensero, uno dei monaci prese il microfono e cominciò a ripetere, prima in vietnamita e poi in inglese: „Un monaco buddista si è dato la morte con il fuoco. Un monaco buddista è diventato martire.“ I monaci portarono via i resti di Ðức per la cerimonia funebre. Secondo la tradizione, il cuore rimase intatto dopo la cremazione e fu venerato come una reliquia. Anche per questo motivo Ðức venne venerato dai buddisti Mahajána come bódhisattva, colui che è capace di raggiungere il risveglio spirituale (molti altri buddisti hanno invece disapprovato il suo gesto, in quanto incompatibile con l’insegnamento di Buddha).

Nella lettera d’addio Ðức affermò di essersi auto-immolato per spingere il presidente Diem a istituire la tolleranza religiosa. Definì l’auto-immolazione un sacrificio in difesa del buddismo. La leadership del regime definirono l’accaduto una cospirazione della Cambogia e dei comunisti locali. A fine giugno 1963 il governo affermò che Ðức, prima di uccidersi, era stato drogato. Destò scandalo anche la moglie del presidente Diem, che in un’intervista per la televisione inglese affermò cinicamente che „si dovrebbe applaudire alla vista di un monaco che si frigge vivo”». (https://www.janpalach.cz)

Importanti le parole del monaco: «Prima che i miei occhi si chiudano e che io scorga la visione del Buddha, chiedo rispettosamente al presidente Ngo Dinh Diem di avere compassione per il popolo della sua nazione e di investire sull’uguaglianza religiosa per rendere eterna la forza della patria».

Thích Quảng Ðức, 11 giugno 1963

Nei giorni successivi il conflitto religioso non si ferma, al contrario nell’agosto 1963 si auto-immolarono altri tre buddisti. Alla fine il presidente Diem venne deposto e ucciso il 2 novembre 1963 dopo aver perso il supporto degli USA.

La protesta di Ðức ebbe grande eco non solo nel Vietnam del Sud, ma anche in molti altri stati, grazie ai giornalisti americani. Addirittura nel 1963 la foto del monaco tra le fiamme scattata da Brown vinse il premio World Press Photo come foto dell’anno e Brown stesso vinse il premio Pulitzer nel 1964.

La notizia dell’auto-immolazione nel Vietnam del Sud fu riportata anche dai media ufficiali nei paesi comunisti, che interpretarono il gesto come parte della lotta contro l’imperialismo americano. Alla fine degli anni sessanta questa forma di protesta politica divenne paradossalmente fonte d’ispirazione per molti cittadini del blocco sovietico.

La nostra società contemporanea come vive la libertà religiosa?

«In 26 Paesi del mondo la libertà religiosa è soffocata dalla persecuzione. Lo afferma il Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo 2021, pubblicato dalla fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) e giunto alla sua XV edizione. In particolare viene evidenziato che in una nazione su tre si registrano gravi violazioni della libertà religiosa. Secondo lo studio, presentato a Roma e in altre grandi città in tutto il mondo, questo diritto fondamentale non è stato rispettato in 62 dei 196 Paesi sovrani (31,6% del totale) nel biennio 2018-2020». (https://www.avvenire.it)

Alessandro Monteduro, il direttore di ACS Italia ha dichiarato: «Nove Paesi per la prima volta si sono aggiunti alla lista: sette in Africa (Burkina Faso, Camerun, Ciad, Comore, Repubblica Democratica del Congo, Mali e Mozambico) e due in Asia (Malesia e Sri Lanka). La causa principale è la progressiva radicalizzazione del continente africano, specie nelle aree sub-sahariana e orientale, dove la presenza di gruppi jihadisti è notevolmente aumentata. Questa radicalizzazione non si limita tuttavia all’Africa. Il Rapporto - sottolinea Monteduro - descrive il consolidamento di un network islamista transnazionale che si estende dal Mali al Mozambico, dalle Comore nell’Oceano Indiano alle Filippine nel Mar Cinese Meridionale, il cui scopo è creare un sedicente califfato transcontinentale».

Di seguito il direttore ha annunciato che: «Asia Bibi, la cittadina pakistana di fede cattolica che ha trascorso quasi dieci anni in carcere nel braccio della morte con l'accusa di blasfemia e che oggi vive in Canada, sarà a Roma nelle prossime settimane insieme alla sua famiglia».

Asia Bibi è intervenuta in videoconferenza alla presentazione della XV edizione del rapporto sulla libertà religiosa nel mondo, affermando: «Spero di poter incontrare entrambi i papi, Benedetto XVI e Francesco, che mi hanno sostenuto e hanno fatto appello per la mia liberazione»,

Importante è sapere che il Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo viene pubblicato da ACS ogni due anni in modo da divulgare il grado di rispetto e il livello di violazione del fondamentale diritto alla libertà religiosa nei 196 Paesi sovrani del pianeta. L’obiettivo della ricerca è tenere costantemente accesi i riflettori sugli ostacoli incontrati da quanti intendono vivere pubblicamente e pacificamente la propria fede.

L'Italia come si muove in questo campo?

La nostra Costituzione riconosce all'articolo 19 il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa e praticarne il culto, tranne 'riti contrari al buon costume', e vieta limitazioni normative nei confronti degli enti ecclesiastici, che possono organizzarsi secondo propri statuti.

«L'articolo 7 della Costituzione riconosce lo Stato e la Chiesa come enti indipendenti e sovrani e 'costituzionalizza' i Patti lateranensi (il Trattato e il Concordato del 1929, rivisti con l'Accordo di revisione del 18 febbraio 1984), stabilendo la natura 'pattizia' dei rapporti tra Repubblica italiana e confessione cattolica, la quale fa capo ad un ordinamento giuridico autonomo, lo Stato della Città del Vaticano»(https://www.interno.gov.it)

L'organo che dirige tutto ciò è il Ministero dell’Interno. Lo Stato italiano, inoltre, garantisce il pluralismo religioso. Infatti, tutte le confessioni religiose hanno la facoltà di organizzarsi secondo propri statuti, nel rispetto dell'ordinamento nazionale. Tutti i rapporti tra Stato e confessioni religiose non cattoliche, secondo l'articolo 8 della Costituzione, sono regolati per legge «sulla base di intese con le relative rappresentanze».

Purtroppo, a oggi nel terzo millennio, la libertà religiosa è violata in un Paese su tre nel mondo. Il dato allarmante è contenuto nel nuovo Rapporto di Aiuto alla Chiesa che soffre, fondazione di diritto Pontificio. Nei Paesi in cui le violazioni della libertà religiosa avvengono in qualsiasi forma, e i cristiani sono il gruppo maggiormente perseguitato. È una situazione che si è consolidata nel corso dei secoli, passando da un'intolleranza alla discriminazione, fino ad arrivare alla persecuzione. Violenza su donne e bambine e perché? Solo per un diverso credo religioso.

Papa Francesco in un videomessaggio proprio sul tema dice: «Come può essere che attualmente molte minoranze religiose subiscano discriminazioni o persecuzioni? Come permettiamo in questa società tanto civilizzata, che ci siano persone che vengono perseguitate semplicemente perché professano pubblicamente la propria fede?. Questo non è solo inaccettabile, ma è disumano, è una follia».

(https://www.vaticannews.va)

La libertà religiosa non può essere intesa solo come libertà di culto, cioè al fatto che si possa avere un culto nel giorno prescritto dai propri libri sacri, ma ci fa valorizzare l'altro nella sua differenza e riconoscere in lui un vero fratello.

Riflettiamo e capiamo quanto è importante essere in grado di accettare l'altro in tutte le sue differenze.

«Libertà religiosa è dar valore alla differenza del fratello» (Papa Francesco)

 

Viviana Giglia

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