Fabbricateatro racconta la figlia dello scrittore, poeta e drammaturgo irlandese
Giorno 25 maggio alla "Sala Giuseppe Di Martino", presso la sede della Compagnia Teatrale Fabbricateatro, sita a Catania in Via Caronda 82, ha debuttato lo spettacolo "Nel nome del padre", per la regia di Elio Gimbo, dedicato alla ballerina italo-americana Anna Lucia Joyce, secondogenita dello scrittore, poeta e drammaturgo irlandese James Joyce e della letterata Nora Bernacle.
Anna Lucia Joyce si è formata nell'arte della danza all'Istituto Dalcroze di Parigi, rivelando sin da giovanissima un grande talento, al punto che quando nel maggio del 1929 fu scelta come una dei sei finalisti del primo Festival Internazionale di Danza di Parigi, tenutosi al Bal Bullier, senza tuttavia vincere, il pubblico protestò a gran voce contro il verdetto della giuria. Del pubblico facevano parte anche James Joyce e Samuel Beckett, con cui la ballerina ebbe una relazione e che fu per molto tempo segretario del padre.
All'età di ventidue anni Lucia decise di abbandonare il ballo, non ritenendosi fisicamente idonea a reggere una carriera da ballerina, e di dedicarsi all'insegnamento. Questa è la motivazione ufficiale, ma secondo quanto afferma la biografia della Joyce, Carol Sholss, fu il padre a porre fine alla sua carriera di ballerina, persuaso dall'idea che l'intenso allenamento fisico per il balletto cagionasse alla figlia uno stress eccessivo, esasperando il rapporto già tumultuoso con la madre. La "decisione" di lasciare la danza fu un elemento scatenante della malattia mentale, che segnerà la sua vita fino alla morte per ictus nel 1982, ma che già aveva rivelato i primi segni nel 1930, compreso un periodo in cui ebbe una relazione con Samuel Beckett, il quale dichiarò, durante una cena di famiglia, di non essere mai stato interessato a Lucia, ma solo alla scrittura del padre. Un padre che secondo la biografa di Lucia ha tratto ispirazione ispirazione da lei per scrivere Finnegans Wake, ma che sembra averla spinta a rinunciare alla sua carriera. Un padre adorato, e ammirato per il suo successo, ma la cui ombra gravava come un montagna sulla vita della giovane figlia.
Perché le ombre della famiglia Joyce non riguardavano soltanto il rapporto madre-figlia: è questo il punto focale della storia, ed è su queste ombre che la pièce scritta e diretta da Elio Gimbo ha gettato luce, attraverso i dialoghi fra i membri della famiglia. James Joyce è stato interpretato magistralmente da Giovanni Calabretta, psicoterapeuta e attore, Nora Bernacle da una strepitosa Barbara Cracchiolo, attrice e performer.
Nei panni di Lucia Anna Joyce abbiamo visto un'intensa Sabrina Tellico, attrice navigata e da quindici anni membro stabile di "Fabbricateatro", che ci ha restituito anche la vitalità di Lucia, quella voglia di vivere vita pienamente e con ardore, un desiderio paradossalmente più forte e febbricitante nelle anime fragili e sempre appese a un filo. Ma attraverso l’arte della Tellico è stato rievocato soprattutto il disperato amore della ballerina verso quel padre che alle sue lettere accorate rispondeva con delle brevi cartoline, e dal quale ha cercato approvazione e incoraggiamento per tutta la vita. E tutto il dramma di una donna che cerca il suo posto nel mondo e che fatica a trovarlo, perché donna e perché figlia d'arte.
Durante lo spettacolo si sono alternati dialoghi carichi di pathos e momenti musicali briosi, il tutto secondo la scia del teatro d'avanguardia, che è una sorta religione per gli artisti di "Fabbricateatro".
Le prime repliche di Nel nome del padre sono andate in scena alla Sala Di Martino il 26, 27 e 28 maggio. Le prossime saranno nella stessa location nei giorni 7 e 8 giugno alle ore 19.00, il 9 e 10 giugno alle ore 21.00, e infine giorno 11 giugno alle ore 18.00.
Troppe donne nella storia sono state dimenticate, che si tratti di letterate, artiste, statiste, donne medico. Sono state messe in ombra dalla memoria collettiva. Molte, soprattutto scrittrici, hanno dovuto muoversi con cautela, nella controluce, per poter realizzare le loro ambiziosi, ricorrendo finanche a degli pseudonimi maschili. Lucia Anna Joyce era un'artista di talento, le cui ali sono state mozzate dalla malattia mentale o forse da una sofferenza insondabile derivata da una storia familiare che in parte è pervenuta a noi, ma la cui totalità è stata sepolto insieme ai membri della famiglia Joyce.
Ma c'è un dono che l'arte, in particolare le arti della letteratura e del teatro, riesce a fare a chi ne fruisce e anche a chi ne fa un mestiere: restituire voce e dignità alle vite dimenticate, ai talenti dimenticati. Luce ai paesaggi ombrosi della memoria collettiva e del patrimonio storico-letterario. Grazie alla produzione di "Fabbricateatro" a Catania, a tutte le associazioni e ad ogni persona al mondo che desidera adempiere a questa missione, tutte le Lucia Joyce del mondo possono essere ricordate. Anche se in vita non hanno spiccato il volo. E se l'arte genera coscienza e conoscenza allora ci aiuta non scordare tutte le donne e artiste che come Lucia non hanno potuto spiegare le ali, e a sperare, opponendoci all'occorrenza alle ingiustizie, che nessun'altra vita finisca con un volo insoluto.
Francesca Sanfilippo