LA “SINDROME DI STOCCOLMA” COMPIE 50 ANNI


Se ne parla relativamente poco, eppure è più comune di quanto possiamo immaginare

 

Stoccolma non è solamente la capitale della Svezia. Per tutti i fans, come me, della Casa di carta (La Casa de Papel), una serie spagnola tra le più guardate sulla piattaforma di streaming Netflix, Stoccolma era un ostaggio che in un certo momento entra a far parte della banda del “Professore”. Il suo nome deriva dalla celebre Sindrome di Stoccolma, la condizione per la quale una vittima si innamora del carnefice. In questo caso il fortunato è l’energico Denver, con cui instaura una relazione fin dalle prime puntate.

Proviamo a capire meglio l'etimologia della sindrome di Stoccolma che è al suo 50°Anniversario:

 «AGI - Cinquant’anni fa, il 23 agosto 1973, Jan-Erik Olsson, un 32enne evaso dal carcere poco prima, tentò con alcuni complici una rapina alla sede della Sveriges Kreditbanken di Stoccolma.

Prese in ostaggio tre donne e un uomo: Elisabeth, 21 anni, cassiera; Kristin, 23 anni, stenografa; Brigitte, 31 anni, impiegata e Sven, 25 anni assunto da pochi giorni. Il sequestro durò 130 ore al termine delle quali, grazie a gas lacrimogeni lanciati dalla polizia, i malviventi si arresero e gli ostaggi vennero rilasciati senza che fosse eseguita alcuna azione di forza.

Quello che nessuno fino ad allora poteva immaginarsi emerse pochi giorni dopo, nelle interviste degli ostaggi. Si scoprì che gli ostaggi avevamo temuto più la polizia degli non gli stessi sequestratori, che durante quella prigionia non erano mancati gli episodi di gentilezza tra rapiti e rapitori e che in fondo gli ostaggi avevano sviluppato sentimenti di gratitudine e affetto nei confronti dei loro carcerieri. Era nata la “sindrome di Stoccolma” (termine coniato solo successivamente dal criminologo e psicologo Nils Bejerot)». Gli ostaggi erano diventati emotivamente debitori nei confronti dei loro rapitori perché non li avevano uccisi e perché li avevano tenuti in vita dando cibo e acqua.

«Basta poco a capire che si tratta di uno stato psicologico comune a quello di molte donne ogni giorno vittime di violenza – spiega all’AGI Micol Trombetta, criminologa presso l’Istituto di Scienze Forensi – si parla di Sindrome di Stoccolma solitamente per le vittime di un sequestro ma si tratta di una condizione psicologica molto simile a quella di chi vive ogni giorno abusi all’interno delle loro relazioni».

(https://www.agi.it/)

Parliamo quindi di una condizione psicologica che si può trovare in ogni aspetto della vita anche in un contesto lavorativo: per esempio il mobbing.

Si parla di Sindrome di Stoccolma nei casi di sequestro ma, dunque, è corretto dire che per sequestro si può intendere qualsiasi tipo di privazione della libertà personale in tutti gli ambiti della vita.

«Questa è l’ultima volta per l’ultima volta

ci stiamo facendo del male ma è soltanto nostra la colpa

come se avessimo la Sindrome di Stoccolma

chiusi in una gabbia ma in tasca noi abbiamo la chiave di scorta

entrambi vogliamo scappare

ma nessuno ha il coraggio di aprire la porta» (Mr Rain)


Viviana Giglia

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