Al Catania Off Fringe Festival è andato in scena "Pest(e) a Buda, battaglia per la Groenlandia”

 


Si sono concluse al "Centro Zo Culture Contemporanee" le prime quattro repliche di Pest(e) a Buda, battaglia per la Groenlandia, in occasione della seconda edizione del Catania Off Fringe Festival.

Lo spettacolo è diretto e interpretato dall'attore Paolo Toti, con la partecipazione di Chiara Luce Fiorito, voce off. Si avvale del prezioso lavoro alle luci di Sammy Torrisi ed è una produzione dell'associazione Rebetiko Produzioni, che si occupa della valorizzazione e diffusione dell’arte drammatica attraverso i linguaggi della rappresentazione teatrale e cinematografica, con particolare riferimento alla drammaturgia moderna e contemporanea inedita e alla rielaborazione delle opere classiche, privilegiando la commistione stilistica dei diversi linguaggi espressivi come la danza, la pittura e la musica.

Lo spettacolo di Paolo Toti si arricchisce in molti momenti salienti dell'arte della danza. Il ballo è liberazione dai propri demoni in questa rappresentazione, e amplifica l'emotività che fluisce dalle parole del testo, di per sé già potenti e dense, frutto di un linguaggio curato e pronunciate dall'attore con passionalità e impeccabile padronanza tecnica.

Protagonista di "Pest(e) a Buda, battaglia per la Groenlandia", è un Amleto postmoderno che si trova catapultato in un "mondo artificiale", meccanizzato, infestato dalla crudeltà, dall'egoismo, dall'avidità, e dalla totale assenza di sentimenti e valori. Un luogo ambientato in un futuro possibile più che distopico, che somiglia molto alla nostra società attuale, soltanto esasperata nelle sue brutture e nelle piaghe che la affliggono.

Il primo atto, intitolato "Assedio", è introdotto da una voce fuori campo, che è quella di Ofelia, la quale esordisce con un discorso che rimanda all'importanza dell'arte e del teatro, le cui frasi determinanti sono:

«il teatro ha il compito di abbattere le maschere» e «Il teatro mostra bellezza e verità».

Nella scena iniziale, sul palco sono presenti oggetti che richiamo alle periferie e alle zone malfamate e degradate di una tipica città moderna, recuperando, come ha sostenuto lo stesso Paolo Toti, evidenti tracce della Gotham City del film "Joker" di Todd Phillips. Tra neri sacchi di immondizia sparsi sul pavimento emergono: un carrello da supermercato rosa, una sedia azzurra sospesa a pochi centimetri dal suolo, un bambolotto Cicciobello privo di una gamba, e anch’esso sospeso a mezz’aria. Altri oggetti di scena sono un elmo trapassato da un’ascia blu e una spada medioevale, elementi che a differenza di quelli elencati precedentemente, i quali rappresentano la modernità e la cultura pop, sono invece più legati al contesto storico dell’Amleto shakespeariano. In fine altri ingredienti scenografici che avranno un ruolo importante durante la rappresentazione, sono un televisore, un teschio e, sul lato sinistro del palco, una lavagnetta, sulla quale Toti scriverà di volta in volta i nomi dei cinque momenti-atti della pièce: Assedio, Ofelia, Scherzo, Peste, Millenni.

È in questo scenario un po' apocalittico e dalle forti tinte dark che il principe Danimarca, inizialmente sdraiato in posizione fetale e nascosto dal buio, si risveglia dal torpore nel quale si era assuefatto, rimuove l'elmo che gli copre il volto e si rivela dicendo non chi è, ma chi era.

«Io ero Amleto!»

Ripercorre la sua storia personale, quella che lo ha condotto a suo tempo a cercare vendetta contro lo zio fratricida. Il tessuto narrativo dell'Amleto shakespeariano rimane quindi un punto di partenza della vicenda espletata in questo spettacolo, ma via via che questo prosegue verrà cucito a misura dei drammi sociali contemporanei, fungendo da pretesto per denunciarli. Così come l'Amleto post-moderno proposto da Toti non è che una metafora, un emblema dell'essere umano che non si riconosce nei valori che governano il mondo e, soffrendo di quello che il poeta Montale in una sua celebre opera chiama "il male vivere", cade vittima della disperazione e si lascia sovente contaminare dalle passioni più oscure che albergano negli esseri umani, le stesse che hanno determinato la decadenza umana tanto odiata e disprezzata, ma della quale spesso si finisce per essere parte integrante. Un dramma, questo, antico come il mondo.

Il monologo di Amleto sarà spesso interrotto dalla voce di Ofelia, la quale tenta di salvarlo da se stesso e, in particolare in questo primo atto-momento lo esorta a scendere dalla folle corsa autodistruttiva della vendetta. Mentre l'antica amata del protagonista tenta di guidarlo, si consumano davanti agli occhi del pubblico delle scene fortemente evocative: il protagonista è a terra supino, sostiene con le braccia e con i piedi un carrello della spesa, simulando il movimento della guida, e in sottofondo si sente il rumore di un aereo. Subito dopo Amleto ripone a terra il carrello e, sempre in posizione supina, pedala una bicicletta immaginaria. Questi movimenti, non soltanto rappresentano la sottomissione dell'uomo alle macchine, ma indicano che Amleto è dentro l'ingranaggio. Dentro la macchina dell'odio. Non è ancora diventato un tutt'uno con le macchine, ma è schiavo dei meccanismi più torbidi della natura umana, che non riesce a direzionare, bensì ne è egli stesso trainato.

Nel terzo atto il protagonista si trucca da pagliaccio e indossa un cappello da giullare, dopo aver detto all' amata che l'unica cosa che vuole fare è essere un clown. E allora canta ancora la sua rabbia e parla con sarcasmo dei vizi umani e della deriva dei tempi moderni. Ma la cifra più significativa di questa scena è che Amleto parla in francese, inglese e spagnolo, rappresentando così un disturbo disforico identitario che da personale diventa, con l’incursione poliglotta, anche sociale, globale.

Nell'atto seguente, la scena si apre in uno scorcio della Storia Contemporanea, quello delle lotte in Groenlandia per ottenere l'indipendenza dalla Danimarca, di cui era colonia, avvenute durante la seconda guerra mondiale. Andando avanti col monologo lo schermo di un televisore è illuminato da un occhio di bue, e gli spettatori ascoltano una traccia sonora costituita da un miscuglio di registrazioni televisive, tratte da programmi noti, pubblicità e telegiornali, assemblate freneticamente in modo da esprimere un forte senso di disperazione e di alienazione. A quel punto viene rievocata e rielaborata una scena iconica dell’Amleto shakespeariano: tenendo in mano un teschio che emana luci stroboscopiche, Amleto si chiede «Essere o non essere? Questo è il problema». Ma la domanda muta subito dopo in «Agire o non agire? Questo è il problema», e continua con «Io sono Amleto, io ero Amleto, io sono la banca dati». Un Amleto nell’era informatica e capitalistica, nell'ultimo atto sta per concludere il suo viaggio seduto su un wc di polistirolo, mentre scrolla lo schermo dello smartphone. Ma d'un tratto è colpito da un lampo di lucidità e si alza, sollecitato da un motore più forte di quello rappresentato dalla rassegnazione: quello del coraggio, necessario a tagliare i fili che rendono schiavo l'animo umano, anestetizzandolo. Stavolta si rivolge al pubblico urlando non la sua rabbia, ma speranza: «Non può finire così, posso ancora farcela, possiamo ancora farcela!». Qui sopraggiunge la traccia Where is my mind del gruppo statunitense "Pixies", e lo spettacolo si conclude sviscerando finalmente il suo vero messaggio: c'è un'unica rivoluzione possibile all'uomo, ed è quella che ognuno di noi può attuare dentro di sé, purificando la propria anima, ricercando la verità e la bellezza, e vivendo all'insegna dei più elevati valori umani.

La prossima tappa della rappresentazione sarà alla Sala verde del Centro Zo Culture Contemporanee di Catania, nelle giornate di giovedì 26 ottobre alle ore 21.30, venerdì 27 ottobre alle 17.30, sabato 28 alle 19.30, e nell'ultimo del "Fringe Festival", domenica 29, alle 21.30.

 

Francesca Sanfilippo

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