Una Body Art Performance selezionata al Catania Off Fringe Festival

 


Alla Sala grigia del Centro Zo Culture Contemporanee, in occasione del Catania Off Fringe Festival, è andata in scena la Body Art Performance "Muta-Morfosi", di Sara Lisanti, da venerdì 20 ottobre a domenica 22 ottobre.

Sara Lisanti nasce a Salerno nel 1991. Consegue la laurea magistrale in giurisprudenza, presso l’università degli studi di Salerno, ma poco dopo si lascia trascinare dal suo amore per l'arte e si trasferisce a Torino, dove, presso la Flic, scuola di circo, si specializza come trapezista. Studia anche le arti visive, e realizza opere di impianto materico-concettuale, che vengono accolte anche da luoghi come la Cancelleria del Vaticano (Roma) e la Biblioteca Nazionale (Torino). Pur avendo studiato numerosi anni recitazione tout court decide di affidare al suo corpo la prevalente espressiva “muta”, proprio come nello spettacolo Muta-Morfosi proposto nello spettacolo. Il tema trattato, o in questo caso mostrato, è infatti una contingenza costante e ineluttabile che per l'essere umano, e in generale per ogni essere vivente e senziente al mondo, il cambiamento, e viene esplorato in questa Kermesse attraverso la metafora della muta del rettile. Sarà un viaggio verso l'individuazione, termine con cui la psicologia junghiana indica quel processo psichico unico e irripetibile di ogni individuo, che consiste nell'avvicinamento dell'Io con il Sé. Non a caso l'elemento didascalico che arricchisce uno dei tre dei quadri in cui si suddivide la performance è il pronome personale inglese "I", che corrisponde alla prima persona singolare della lingua italiana, definita dalla parola "Io".

Nel primo quadro la Lisanti è avvolta da un lenzuolo bianco che si anima al suono di plastica stridente, forse a ricordare la rottura di un uovo, dentro il quale si dimena per nascere una prima volta. Su questo primo involucro è scritta la parola "Hi", il primo saluto di una creatura che viene al mondo, e che dunque si presenta al mondo. Per la prima volta. Velata, però, perché può ancora indossare solo la prima pelle, quella che ognuno di noi nasconde agli sguardi altrui.


Nel secondo quadro, o step del percorso, la protagonista entra in una sorta di incubatrice di vetro, somigliante a un acquario per i pesci, e guarda il pubblico con curiosità e paura. Rannicchiata lì dentro, è completamente avvolta da una pellicola trasparente, una seconda pelle, inadeguata per uscire dalla sua prigione. Per evadere dovrà liberarsene con fatica, e modificare il suo involucro anche a costo di soffrire, sanguinare, come accade metaforicamente quando mettiamo in atto un cambiamento, o semplicemente ci lasciamo attraversare da questo. Cambiando il luogo in cui viviamo, un'abitudine, o anche uno schema comportamentale che ormai non risolve più nessun problema e ci imprigiona "tra le pareti di una zona comfort". In questo frangente, l'attrice rimuove la barriera di vetro che la separa dal mondo che deve ancora scoprire, dopo averla segnata con la parola "ahi", usando come mezzo non l'inchiostro ma il suo sangue, estratto letteralmente da una siringa. Ma non è ancora abbastanza: l'ultimo mutamento funzionale a superare questa crisi riguarda i capelli, che vengono rasati. Solo dopo riesce ad avanzare lentamente, quasi strisciando a rallentatore, dalla prigione, ormai aperta, fino a un punto del palco dove finalmente si alzerà di fronte al pubblico.


In questa seconda fase, è nuda con gli unici due residui di pelle rimasti dopo la precedente battaglia: dei cinturini neri legati ai polsi e alle caviglie. Il suo sguardo non è più spaventato, diffidente e un po' curioso, ma è ancora contratto e spaesato. Ed è qui che entra in scena una seconda attrice, Chiara Senatore, che lentamente e con occhi amorevoli, rimuove le catene e dipinge il corpo della Lisanti di azzurro e di uno scintillante color oro. È un modo per prendersi cura di lei, aiutarla a rinascere, ribattezzare la ragazza donandole un nuovo aspetto, una nuova pelle. Quindi una nuova vita. Il viso di Sara si rilassa, anche il suo corpo è meno rigido. Si sente amata e scopre un' po' di sé attraverso il rapporto con un'altra persona.

Ma per definire la sua identità il nuovo essere deve continuare il viaggio da solo. Quando la compagna esce di scena, Sara avanza fino all' estremo opposto del palco, prende in mano una piccola ciotola, la innalza al cielo, come in un rito religioso, e vi estrae un adesivo dorato simile a un piercing. Ripone l'adesivo sulla vagina, e tra l'addome e il basso ventre, col sorriso di chi si accetta e si sente risolto, scrive la lettera "I", che va sempre letta secondo il registro linguistico inglese, mentre sul lato estremo del palco si vede una bambola vestita interamente con la muta del rettile che è stato per anni l'animale domestico dell'attrice, un Tegu argentino.

L'Io autentico della protagonista a questo punto si è definito, lei è nata davvero. Questo momento viene celebrato dalle parole fuori campo della stessa Sara, che racchiudono il messaggio morale della rappresentazione: il mutamento è passaggio doloroso ma necessario, che serve a partorire se stessi e a rinascere continuamente. Questa, però, è una conquista degna di chi ha cura del proprio aspetto, della propria pelle che muta, quindi è capace di Essere. E di rimanerci, dentro la propria pelle, anche quando sente dolore. Quindi è importante non soltanto Essere, ma anche Esser-ci. Soprattutto nel silenzio, perché le spiegazioni ci allontanano dalla semplicità il coraggio di Esserci. La metamorfosi è muta.

 

Francesca Sanfilippo

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