Al Centro Zō è andato in scena “Ed io l’amavo”, uno dei successi teatrali di Chiara Putaggio

 


Da giovedì 17 ottobre a domenica 20 ottobre, in occasione della terza edizione del Catania Off Fringe Festival, è andata in scena la pièce teatrale Ed io l'amavo, presso la sala grigia del Centro Zō Culture Contemporanee. Lo spettacolo, scritto da Chiara Putaggio e interpretato da Adriana Parrinello, è stato prodotto dall'associazione culturale "I Musicanti", per la regia di Francesco Stella, ed è stato arricchito dalle musiche di Gregorio Caimi.

La struttura del testo, rappresentato in unico atto, è quella del monologo, e il plot è molto essenziale: viene narrata la vicenda di cronaca relativa all'uccisione, da parte della mafia, del sindacalista marsalese Vito Pipitone, dal punto di vista della moglie, Filippa Di Dia.

Siamo nella Marsala del secondo dopoguerra, devastata dai bombardamenti americani, avvenuti l'undici maggio del 1943, e dalle razzie che alcuni popolani poi definiti 'nfami dai loro concittadini, compirono a danno degli agricoltori, entrando successivamente in combutta con alcuni campieri, i mafiosi che spadroneggiavano sul popolo. Era in vigore la legge Gullo, la quale prevedeva che le terre incolte dovessero essere divise tra i braccianti. Nella Federterra della CGIL, in anni a di intense lotte, c'era un umile contadino innamorato della giustizia: Vito Pipitone.

L'uomo si batteva per i diritti politici dei braccianti e, insieme ai compagni comunisti, sceglie di volta in volta una sede diversa in cui discutere delle azioni politiche utili alla loro causa, per non farsi stanare dai mafiosi alleati dei latifondisti. Ma a nulla valsero queste strategie: l'8 novembre del 1947, Vito Pipitone, mentre andava a trovare la madre in bicicletta e disarmato, fu ferito a morte da un colpo di fucile allo stomaco durante un agguato organizzato dai prepotenti del luogo. Il giorno dopo avrebbe guidato una manifestazione contadina per la lottizzazione e assegnazione agli agricoltori del feudo Giudeo, in esecuzione alla legge contro il latifondismo, proposta dall'allora ministro dell'agricoltura e delle foreste del Regno d'Italia, il comunista Fausto Gullo, e approvata poi dal Parlamento italiano.

Ma il punto focale di questo testo attuale e necessario, non è la disfatta di coloro che in genere vengono considerate le uniche vittime delle mafia, cioè gli eroi che scendono in campo perdendo la vita per i più preziosi ideali umani. È altresì il punto di vista delle altre vittime, quelle che rimangono dopo la morte degli eroi. In controluce, dimenticate, a raccogliere i pezzi di quella che viene vissuta e sentita come una sconfitta. Le vittime Filippa di Dio e i quattro figli suoi e di Vito. È lei a raccontare questa storia, con lo sguardo di una moglie innamorata e di una madre terrorizzata.

Nella prima scena l'attrice è seduta in mezzo al pubblico, ignaro di questa efficace scelta di regia, e sullo sfondo di una canzone del gruppo I musicanti, “Facci plastica” lo sorprende con una risata. Inizia a raccontarsi partendo da famosi proverbi siciliani. A tal proposito l'uso sapiente della lingua siciliana è una delle cifre stilistiche di questo lavoro teatrale, anche per quanto riguarda l'uso do metafore legate alla terra e al mondo contadino. Poi la Parrinello si sposta davanti al palcoscenico, e poi ancora prende il suo posto sulla scena, seduta su una sedia. Racconta del paese di Marsala, in cui ogni contrada ha un colore diverso, delle donne, delle condizioni dei contadini e del marito, i cui occhi diventano più grandi quando parla della costituzione, dei diritti umani e civili, della giustizia. Racconta di come lo ascoltava rapita, delle sue mani che seppur “abbruciate di lu suli e cu l’ugna nivure”, lei amava tanto. Ma l'amore viscerale lotta con un'altra forza potente in lei: la paura. Paura che i mafiosi strappino via da lei quelle mani, paura per la vita dei suoi figli.

Adriana Parrinello ha saputo esprimere queste due sfumature estreme dell'amore con una forza comunicativa e una potenza emotiva molto rare, passando dalle tonalità appassionate a quelle del dolore, per il lutto simboleggiato da un cambio d'abito, da rosso, il colore dell'amore e del comunismo (non a caso i due amori di cui parla il testo sono quello per il marito e per la famiglia e quello per la giustizia e per il bene comune, indissolubilmente legati), a nero. Non sono mancate le tonalità rabbiose e di denuncia, per uno Stato che si mostra "vicino e presente" solo quando chi lotta muore, e che vive più di retorica che di ideali. Ma il colore che ha prevalso alla fine è quello della speranza, che si aggrappa alla memoria. E all'invito accorato a non far morire la giustizia, da parte di una donna come Filippa, che ha non ha trasformato il dolore in un freno, o nel veleno della rassegnazione stagnante, ma come motore per lottare e fare in modo che il sacrificio del marito non sia stato vano.



Il talento della Parrinello ha reso quest'opera trascinante, insieme alle scelte scenografiche e di regia, oculate e all'insegna dell'essenzialità. Una sedia, per raccontare e per parlare con il marito, una valigia per cambiare un abito. Un'entrata in scena d'effetto per abbattere una quarta parete e lasciare che non ci sia più un velo tra attrice e pubblico.

Sia il regista e l'attrice condividono fortemente con l'autrice l'importanza pedagogica di un testo come "Ed io l'amavo". Ecco ciò che ha dichiarato Chiara Putaggio, l'autrice del testo:

«Con l’espressione “vittima della mafia” solitamente si intende chi viene ucciso, ma è vittima anche chi subisce indirettamente questa violenza, chi resta, chi ha amato, chi ama ancora, chi viene sconvolto da una perdita che trasforma per sempre la sua vita e la vita dei suoi familiari. Circa 14 anni fa ho conosciuto Antonio Pipitone, figlio di Vito e Filippa. Gli ho promesso che avrei scritto il suo racconto. Così nasce questo lavoro. Poi due anni fa, in occasione della prima messa in scena, all’interno della rassegna ‘a Scurata, ho saputo che Pietro Pipitone era il figlio maggiore di Vito. Lo conoscevo da quando ero piccola ma non avevo idea della sua storia personale. Sono stati costretti ad andare a lavorare da bambini e hanno conosciuto una sofferenza che oggi merita attenzione e rispetto. Sono molto felice di avere l’opportunità di far conoscere la storia di Vito Pipitone all’interno di una manifestazione così importante. La memoria è un dovere, ma anche un dono».

Queste invece le parole di Adriana Parrinello:

«È un'emozione da condividere e, allo stesso tempo, da tenere stretta a me. Un'occasione per mostrare la passione e la dedizione al teatro, inteso come forma di compartecipazione di ideali e sentimenti. Un momento a cui sono davvero orgogliosa di partecipare».

Il regista si è invece espresso così sulla protagonista:

«Filippa è simbolo vivo di chi lotta per la giustizia e la verità. Simbolo di chi non ha “semplicemente” superato il dolore, perché certi dolori non si superano mai, ma lo ha oltrepassato, facendo della propria vita una testimonianza concreta di impegno per la lotta a tutte le mafie».

Chiara Putaggio si è occupata di cronaca nera per molti anni, scrivendo per il Giornale Di Sicilia. Oggi è docente di scuola dell'infanzia, ma non ha mai perso la voglia di piantare i semi che nutrono la coscienza civica, per questo è autrice di testi teatrali impegnati come questo e come "Medea, la stranía", e “A strega do mari”. Testi in cui assume grande rilevanza l'universo femminile, che ancora oggi non è stato abbastanza valorizzato e approfondito in letteratura e a teatro, dagli addetti ai lavori.

Lo spettacolo "Ed io l'amavo" è già stato messo in scena per la prima volta all’interno della V rassegna "Scurata – canti e cunti al calar del sole", come ha dichiarato l’autore delle musiche e presidente dell’associazione "I Musicanti", Gregorio Caimi, registrando il sold-out. E noi ci auguriamo che il suo successo possa espandersi in Sicilia e in tutta Italia, perché uomini come Vito Pipitone, cui è stato intitolato il presidio di Marsala, non devono cadere nel dimenticatoio. Mai come oggi abbiamo bisogno di questi esempi.

 

Francesca Sanfilippo

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