Franca Viola fu la prima donna in Italia ad opporsi alle nozze riparatrici

 

Franca Viola nasce il 9 gennaio del 1947 ad Alcamo, in provincia di Trapani, da una modesta famiglia di mezzadri. A quindici anni, con il consenso dei genitori, si fidanza con il benestante Filippo Melodia, ma il ragazzo viene successivamente accusato di furto e di appartenenza a banda di malavitosi. Era infatti il nipote di mafioso locale. Così il padre di Franca, Bernardo Viola, costringe la figlia a rompere il fidanzamento. Ma Filippo non si dà per vinto e, dopo un periodo di lontananza in Germania, nel 1965 torna nella sua terra e perseguita Franca e la sua famiglia. Brucia la loro casa di campagna, distrugge il vigneto, saccheggia l’orto. Poi il giorno di Santo Stefano si introduce insieme ai suoi amici nella casa dei Viola, la devasta, picchia Vita Ferra, la madre di Franca e rapisce la ex fidanzata insieme il fratellino che le si è aggrappato alle gambe nel tentativo di proteggerla.

Il bambino viene poi liberato la sera stessa del rapimento mentre Franca, dopo essere stata spostata come un pacco postale da un casolare di campagna alla casa della sorella di Filippo, subisce continue derisioni e angherie, per volontà del suo aguzzino è costretta a digiunare e, una settimana dopo il rapimento, viene stuprata. Il giorno di Capodanno i parenti di Melodia vanno da Bernardo per la cosiddetta “paciata2: vale a dire la pace tra le famiglie che di fronte al fatto compiuto, secondo tradizione, avrebbero concordato le nozze. Il padre e la madre di Franca, d’accordo con la polizia, fingono di accettare. Però il 2 gennaio 1966 i poliziotti fanno irruzione nell’abitazione, liberano Franca e arrestano i rapitori.

Ha inizio così al tribunale di Trapani un processo che attirerà l'attenzione di un colosso del giornalismo italiano come il Corriere della Sera, il quale introdurrà per l'occasione un inviato speciale come Silvano Villani e la firma di Indro Montanelli. Un processo che avrà risonanza nazionale, grazie scelte della famiglia Viola, controcorrente rispetto alla forma mentis che in quel periodo storico dominava in Italia, soprattutto al Sud.

Le cosiddette nozze riparatrici, oltre ad essere uno dei nodi più significativi di un retaggio socioculturale segnato dal patriarcato, erano anche di fatto la soluzione per estinguere il reato di violenza carnale. Era il 1966. E in Italia l’articolo 544 del Codice penale non era stato ancora abrogato. Esso assolveva, con il matrimonio, lo stupratore e i suoi complici, così recitando: «Per i delitti preveduti dal capo primo e dall'articolo 530, il matrimonio, che l'autore del reato contragga con la persona offesa, estingue il reato, anche riguardo a coloro che sono concorsi nel reato medesimo; e, se vi è stata condanna, ne cessano l'esecuzione e gli effetti penali».

Grazie al matrimonio, dunque, Filippo Melodia non sarebbe stato più uno stupratore, e Franca Viola non sarebbe stata più una donna disonorata. Una donna che mai nessun uomo avrebbe voluto sposare, poiché non più pura. Una donna che, se non avesse sposato il suo rapitore, avrebbe fatto vivere la usa famiglia nella vergogna, nello scherno sociale e, di conseguenza, nella marginalità. Ed era proprio questa moralità pubblica ad essere tutelata dall'articolo 544 del Codice penale, eredità del Codice Rocco, non la persona che subiva violenza carnale. Il corpo della donna non era considerato di proprietà della donna stessa, la quale non disponeva di alcuna libertà nel campo sessuale. Non nell'Italia di quei decenni, dove lo spartiacque socioculturale fra Nord e Sud era molto più marcato di oggi. A Nord grazie a una costante crescita economica, che precede sempre una rivoluzione culturale, le donne cominciavano a costruire per sé stesse un futuro professionale, frequentavano l'Università, e non riducevano più la loro identità al ruolo di mogli e madri. Per le donne del Sud, invece, contrarre un matrimonio con un giovane stimato dai genitori dal contesto sociale in cui vivevano, e considerato da tutti "un buon partito", era quasi sempre l'unica opportunità di riscatto sociale, nonché quella esplicitamente o tacitamente imposta dal suo retaggio familiare, che le considerava una proprietà dei padri prima che esse convolassero a nozze col marito, che poi diventava il loro nuovo padrone.

Ed ecco perché il caso giudiziario di Franca Viola ha suscitato scalpore, travalicando i confini regionali. La vicenda ha riacceso i fari sulla Questione Meridionale. Oltretutto la ribellione di Franca al matrimonio riparatore è stata la prima scossa sismica nel panorama di una Sicilia edificata sul terreno apparentemente incrollabile del patriarcato.

«Io non sono proprietà di nessuno», dice, «l’onore lo perde chi le fa certe cose non chi le subisce».

Queste le parole, ad oggi ancora impresse nella memoria collettiva del nostro Paese come un solco nella terra, di una fiera Franca Viola, la prima donna in Italia a ribellarsi a una legge che violava la dignità delle donne.

Per Filippo Melodia il pubblico ministero chiede 22 anni. Diciassette i capi d’imputazione, tra questi il ratto a scopo di libidine.

Franca si sposò nel 1978 con un giovane compaesano e amico d'infanzia, Giuseppe Ruisi, ragioniere, che insistette nel volerla prendere in moglie, nonostante lei cercasse di distoglierlo dal proposito per timore di rappresaglie. Come la stessa Franca ricordò anni dopo in una delle rare interviste concesse alla stampa, il futuro marito le avrebbe dichiarato di non temere ritorsioni da parte dei Melodia, dichiarando: «Meglio vivere dieci anni con te che tutta la vita con un'altra».

L'8 marzo del 2014, Franca Viola è stata insignita al Quirinale dell’onorificenza di Grande Ufficiale dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano con la motivazione: «Per il coraggioso gesto di rifiuto del matrimonio riparatore che ha segnato una tappa fondamentale nella storia dell'emancipazione delle donne nel nostro Paese».

Franca ha vinto. Ma non è stata sola in questa battaglia. Al suo fianco c'è sempre stata la sua famiglia, in primis il padre, Bernardo Viola, il quale a proposito delle nozze riparatrici fra la figlia e il suo stupratore si espresse con queste parole:

«Mia figlia Franca non sposerà mai l’uomo che l’ha rapita e disonorata».

La stessa Franca Viola racconta il coraggio del padre:

«Non fu difficile decidere. Mio padre Bernardo venne a prendermi con la barba lunga di una settimana: non potevo radermi se non c’eri tu, mi disse. Cosa vuoi fare, Franca? Non voglio sposarlo. Va bene: tu metti una mano io ne metto cento. Questa frase mi disse. Basta che tu sia felice, non mi interessa altro. Mi riportò a casa e la fatica grande l’ha fatta lui, non io. È stato lui a sopportare che nessuno lo salutasse più, che gli amici suoi sparissero. La vergogna, il disonore. Lui a testa alta».

A testa alta. Coraggiosamente. La parola "coraggio" proviene dal provenzale coratge. In latino volgare è coratĭcum, e deriva dal termine di latino tardo coratum, forma popolare di cor cordis, cioè cuore.

È stato infatti un modo di sentire diverso a guidare la modesta famiglia Viola nelle sue scelte. Non l'intelletto, ma un cuore che batte più forte di pregiudizi e di un conformismo che sa di paura e di vigliaccheria. Bernardo Viola ha preferito essere un emarginato e amare davvero sua figlia, piuttosto che amare un onore e una dignità di plastica.

La ribellione di Franca Viola non cambiò immediatamente le leggi. Bisognerà infatti aspettare ancora 16 anni perché il matrimonio riparatore venga cancellato (insieme al delitto d’onore) dalla legge 442, del 5 agosto 1981, arrivata alla fine di un lungo percorso di cui fanno parte il referendum sul divorzio (1974), la riforma del diritto di famiglia (1975) e il referendum sull’aborto. Si dovrà attendere però il 1996 perché lo stupro venga considerato non più un reato «contro la morale» bensì un reato «contro la persona» (che è stata abusata).

Ma il suo atto di coraggio ha ispirato molte altre donne, ha scosso le loro menti e il loro sentire. Quindi il loro modo di agire di fronte agli abusi. E in fondo è questo ciò di cui ha bisogno una società per cambiare: una prima scossa, e poi tante altre, insieme erodono un paesaggio malato e lo ridisegnano, rendendolo più bello. A misura della dignità umana.

 

Francesca Sanfilippo

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