Una chiacchierata con il musicista siciliano maestro della sei corde elettrica

Eclettico, ma non di un eclettismo non fine a se stesso. Vincenzo Di Vita è un artista originale, dal curriculum sostanzioso e concreto. Non ama l’apparenza, ma il suono. Che nasce da una solida formazione, nata nell’ambito della musica classica, ma che evolve nell’espressione libera, nell’improvvisare, nel riarrangiare: questo è jazz, questo è Di Vita.


Tanto studio, tanta pratica, e una prima domanda: da dove partono i suoi studi di chitarra jazz?
«Ho inziato “tardi”, a 28 anni. Era quello il mio momento. Sono partito dai seminari estivi a Siena, superando i corsi di primo e secondo livello – ci racconta – proseguendo con Tommaso Lama, di cui sono stato allievo, e ancora seminari, ad esempio con Joe Diorio, e ancora con studi di armonia moderna e jazz applicati alla chitarra».

Di Vita ha uno “storico” live in diverse formazioni jazz e cameristiche di musica classica.
«Ero un camerista, suonavo in varie formazioni – ci dice – ad esempio un trio di chitarre classiche per il quale arrangiai anche il celebre “Bolero” di Ravel».
Ma poi arriva lui, il jazz. «La musica classica non mi bastava – prosegue – i suoi schemi per me non erano rassicuranti punti di riferimento, bensì limiti. Volevo esprimermi liberamente, non volevo essere inquadrato. Volevo il jazz».

I suoi artisti di riferimento? «Wes Montgomery, in primis – ci spiega – ma anche Joe Pass, e Tuck Andress, del noto duo Tuck & Patti, di cui ho seguito anche i corsi online».

Da anni predilige suonare in formazione di chitarra solo. Come tale si è classificato fra i quattro finalisti di “Guitar Convention” (primo posto non assegnato) e premiato – quale solista jazz – al concorso nazionale Amigdala. Ha altresì partecipato a numerosi jazz festivals tra cui, come didatta, il Jazz Day 2020 e l'International Jazz Day 2021 con un suo video.
Ma come arriva a questa dimensione? «Per caso – ci confida – una sera per un concerto avrei dovuto accompagnare una cantante, che per un inconveniente non si presentò. E allora decisi di avventurami, dando seguito alla serata da solo. Fu un successo».

E ogni suo concerto è sempre accompagnato da tributi di apprezzamento e stima. Le sue improvvisazioni armonico-melodiche sono ricche di spunti ed idee, ma sempre rimanendo raccolte in un linguaggio volutamente legato alla melodia iniziale, sì da tenere l’ascoltatore sempre attento all’esecuzione. Difatti, la mancanza di una sezione ritmica, invece di rendere più difficile la fruizione, finisce con il calamitare l’ascoltatore verso il linguaggio esecutivo del Di Vita solista.

Una sua esibizione non ha mai una “quarta parete”, non è mai “frontale” o “impositiva”: Vincenzo Di Vita conversa con il pubblico, rendendolo partecipe delle scelte, e aggiungendo sprazzi di vita musicale e “giocando” a volte con l’individuazione del brano eseguito. Doti di intrattenitore, sempre molto apprezzate, che portano una serata da lui guidata, quale che sia la consistenza numerica del pubblico, una genuina serata fra amici, che sovente prosegue dopo che l’amplificatore è stato spento.

Il setup? Di Vita predilige suoni puliti, genuini: niente effetti né pedaliere. La “magia” nasce dalle sue mani, dall’inventiva, dalla sua cultura ed esperienza. Legatissimo alla sua archtop (non lo si vede mai suonare altri strumenti), con essa dà vita a un tutt’uno, senza nemmeno il plettro a mediare fra dita e corde. Amplificazione semplice e potente, e assolutamente immancabile il suo storico e ormai proverbiale sgabello: un misto di comodità e scaramanzia, che non guasta mai.

Il repertorio? «Io mi sento un musicista “jazz pop” – ci spiega – amo arrangiare di tutto, dagli standards alle canzoni d’autore ai brani più popolari di musica leggera, senza trascurare la musica d’arte, che con quel po’ di elettricità prende un’altra dimensione. Il jazz non è un genere: è un modo di espressione». Un suo live è un viaggio con un musicista e un didatta che, scevro dal cercare la facile notorietà, ha “navigato”, visto e vissuto decenni di musica italiana ed internazionale.

Passati i periodi di stop delle esibizioni, Di Vita è tornato prepotentemente sulla scena, risparmiandosi la fase delle “dirette streaming”. Per lui è essenziale il palco, la vita reale, esibizioni mai uguali l’una all’altra. E le richieste, in numero crescente, dimostrano che è la via giusta.

Il futuro? È già presente. Una attività live in aumento, sempre preferibilmente in “modalità” chitarra sola pur non disdegnando collaborazioni e formazioni con altri musicisti. Di Vita sta dedicando sempre più questa fase della sua vita artistica, e non solo, alla musica, e alla musica dal vivo. Il sogno del cassetto? «Suonare sempre più, in sempre più posti, per sempre più persone – conclude la nostra chiacchierata – location grandi e piccole, note e meno nota. Non importa. Ciò che conta è suonare. Senza fine».


Il prossimo live di Vincenzo Di Vita si terrà venerdì, 10 febbraio alle 21 al MAC - MusicArtcafe di piazza Cavour 24 (zona Borgo) a Catania

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