Presentata a Catania la sua silloge “La Malagrazia - Ballate (delle) disturbanti”

 


Venerdì 3 febbraio 2023, presso la libreria “Mondadori Bookstore” di Catania sita in Piazza Roma, ha avuto luogo la presentazione della silloge
La Malagrazia - Ballate (delle) disturbanti, della poetessa Margherita Ingoglia. Hanno dialogato con l’autrice Marinella Fiume, insegnante di Lettere e scrittrice, che ha curato la postfazione del libro, e lo scrittore Cono Cinquemani, fondatore dell’associazione di promozione sociale e culturale “Lab 5”.

 

Margherita Ingoglia è già alla sua terza raccolta poetica, insegna nelle scuole primarie superiori, è giornalista pubblicista e si occupa da anni di letteratura, libri e poesia. Cura una rubrica in cui intervista scrittrici e scrittori, dal titolo Fimmina che legge. Ha vinto diversi premi letterari come il Premio Etna Book - Cultura sotto il vulcano, nell’edizione del 2022, dove si è aggiudicata il primo, il secondo e quarto posto nella sezione dedicata alla poesia. Le sue poesie sono presenti in numerose antologie letterarie.

 

I versi di questa silloge sono come tutte le donne che riscoprono in sé la reale natura ferina che appartiene al loro sesso. Quindi come i veri artisti e le vere artiste di tutto il mondo. Non obbediscono infatti ai dettami della metrica e della tecnica, ma non per questo sono stati lasciati in balia del caso e del caos. È in realtà una penna molto sapiente quella di Margherita, e la sua opera possiede lo stesso lirismo e maestosità di un cantico. È piena di vita come una creatura appena nata, e come la vita dunque inarrestabile e poco incline a farsi ingabbiare.

Si tratta di un cantico che racconta la storia delle donne tracciandone il percorso dentro la più ampia mappa della Storia del mondo, ripercorsa sin dalle sue origini.

 


La Ingoglia traccia i caratteri di una femmina primordiale che non è Eva, la prima donna, ma una creatura ibrida che rievoca le sirene. Una creatura che abita la soglia fra la dimensione divina e quella umana, ma che conosce più mondi: il sottosuolo e le profondità delle acque, ma anche le alture del cielo e dello Spazio. Per questo possiede la saggezza ancestrale, una conoscenza che precede e trascende i saperi generati dall'Uomo nel corso dei secoli. Tutto sa e tutto sente. Man mano che scorriamo nella lettura di questi versi rivediamo la Storia dell'umanità guidati da un filtro che ne rivela luci, ombre, colori e sfumature.

 

Questo filtro è il vissuto delle donne, il ruolo che nelle diverse epoche e all'interno di diverse cornici culturali è stato dipinto per loro. Tutto ciò che hanno passato e patito sin dalla notte dei tempi, le condizioni di totale sottomissione al padre prima di lasciare il loro nido, e al marito una volta sposate. Gemme ornamentali ben saldate e incastonate in un gioiello forgiato dalle mani rozze e moleste del patriarcato. A volte sono state protagoniste della storia nel ruolo di matriarche, di strateghe che agivano dietro le quinte o nella controluce. Altre erano guerriere alla ribalta o semplicemente donne anticonformiste cadute nel dimenticatoio. Nel corso dei secoli e dei millenni si è assistito infatti all'emarginazione e alla sistematica persecuzione e repressione di quelle dissonanze coraggiose rappresentate dalle donne che osavano attraversare i “territori” considerati appannaggio degli uomini: studiose, come ad esempio le erboriste, ovvero le prime donne medico; artiste appassionate e libere nei costumi sessuali, come Artemisia Gentileschi; grandi intellettuali come la matematica, astronoma e filosofa greca Ipazia di Alessandria, passata alla storia come la "martire del libero pensiero"; mistiche cristiane come Giovanna D'Arco e Sant'Agata, che hanno pagato la loro ribellione e il loro carisma con il rogo e le tribolazioni della carne, il martirio del corpo.

 

E proprio il corpo è una delle chiavi di lettura che ci consente di penetrare nelle profondità di questo poema-racconto, dove l'autrice non cita le grandi donne del passato ma ci fa respirare, attraverso i suoi versi, il loro genio, il loro patimento, ma anche la loro determinazione, talvolta più feroce dell'odio dei loro aguzzini. Il corpo è spesso vissuto dalle “disturbanti” come una zavorra dalla quale liberarsi, perché troppo a lungo oggettivizzato, oltre che fonte di una sofferenza continua, talmente intensa da non poter essere contenuta da un involucro così fragile. Ma è visto anche come qualcosa di più di un contenitore. È carne viva. È il corpo di una donna, non di una Barbie. I suoi movimenti non possono essere controllati come quelli di una dama. Nemmeno le emozioni sono di plastica. Non sono fatte di nessuna sostanza ma profumano di sangue. Ecco perché sgorgano da una voce autentica, non sempre ben confezionata, ma talvolta sporca, sgraziata. E perché dipingono innumerevoli espressioni, spesso anche grottesche, nel volto di una donna Un volto che non può mostrarsi sempre soave, in quanto la parola ”donna” non è sinonimo di “Madonna”. Perché il corpo è una membrana che ha come nucleo infinito l'anima, non quella religiosamente connotata, bensì l' anima legata alla natura selvatica della donna. L'anima di ci parla la poetessa e psicanalista junghiana Clarissa Pinkola Estès nel saggio "Donne che corrono coi lupi". L’anima selvaggia.

 


Il femminile che urla, morde, scalpita, si dimena e si manifesta a dispetto delle insidie che tentano di intrappolarlo. Il sentire delle Disturbanti è così forte che la loro empatia spesso impedisce loro di tollerare le ingiustizie sociali rivolte a ogni essere umano, e non soltanto al loro genere. Un’empatia ben lontana dal concetto distorto di gentilezza che hanno inculcato loro per renderle accondiscendenti. La loro mente ha esigenze intellettive che non verranno mai soddisfatte dal sapere precostituito e dai dogmi. E inoltre queste donne sono portatrici sane di intuizione. Detentrici di potenti istinti, anche sessuali, che devono ricevere ascolto, e il loro richiamo non può essere disturbato dall’eco della vergogna e del senso di colpa.

 

L’Anima delle donne è Il Femminile che palpita e che sceglie. Sceglie la maleducazione piuttosto che la buona creanza. Il bosco anziché la casa paterna, una caverna che non può contenere quel corpo-anima che scorre libero, pronto a esondare quando è necessario. Ma anche ad annaffiare, nutrire, dare vita a una vegetazione rigogliosa. Il femminile che crea. Proprio come il poeta crea nuovi mondi. E come ha fatto Margherita Ingoglia con il suo poema, che ha la forza di un fiume in piena, come le donne che possiedono un’anima vigile, la quale incontrando la magia delle parole e delle storie condivise fluisce dalla vita intima di un’autrice alla vita di chi assetato legge, da una stanza dove la penna si scontra con la carta allo spazio dove si realizza l’incontro emozionante e formativo chi versa le sue parole e chi, assetato, legge. Dove ciascuno di noi è protagonista di una Storia tutta da immaginare, scrivere e/o riscrivere. E dove ogni donna è sé stessa ma al contempo tutte le donne del mondo.

 

 

Francesca Sanfilippo

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