Abbiamo sentito il P. Roberto Toni, Priore Provinciale della Provincia Italiana dei Carmelitani

 


Nel febbraio del 2020, dopo un’assenza di ventotto anni, sono tornati a Licata i Frati Carmelitani. L’occasione è stata data, proprio in quell’anno, dall’inizio del Giubileo per gli ottocento anni dal martirio di Sant’Angelo, carmelitano, Patrono di Licata, avvenuto, secondo la tradizione, il 5 maggio del 1220. Contestualmente, proprio in quei giorni, si aprì la ricognizione canonica delle Reliquie, contenute nella preziosa Urna d’argento che venne restaurata.

 

Proprio oggi, mercoledì 8 marzo 2023, ricorre il terzo anniversario dell’insediamento della Comunità dei Frati carmelitani che, data l’importanza di Sant’Angelo per tutto l’Ordine nel mondo, ha voluto porsi fin da questo nuovo inizio con la caratteristica dell’internazionalità.

Purtroppo, appena il giorno ci fu l’inizio del lockdown, la chiusura di tutte le attività a causa della pandemia del Covid-19.

Oggi, visto che per il momento manca sia il Priore che il numero sufficiente dei Frati per formare una Comunità, facciamo due chiacchiere con il P. Roberto Toni, Priore Provinciale della Provincia Italiana dei Carmelitani. 

P. Roberto Toni

- P. Roberto, grazie di aver accettato di parlare con noi; sappiamo che è molto impegnativo essere il provinciale della Provincia Italiana dei Carmelitani diffusa in quattro Nazioni. Noi di Sicilia Giornale avremmo il piacere di conoscerla un po’ meglio e ascoltare da lei il perché del ritorno dell’Ordine Carmelitano a Licata.

L’abbiamo vista spesso a Licata in questi ultimi tre anni. Ci spieghi meglio: chi è e che competenze ha un Priore provinciale?

«Anzitutto vi esprimo la mia gratitudine: è un piacere ed un’opportunità per me rispondere alle vostre domande. Penso che tutti abbiamo avuto modo di conoscere almeno un Provinciale, nei nostri anni di scuola: quello che Manzoni descrive nei Promessi Sposi, il “prudente” e diplomatico Provinciale dei Cappuccini, il quale trasferisce Fra Cristoforo da Pescarenico in Lombardia a Rimini in Romagna. Un superiore religioso che si piega ai “poteri forti” del suo tempo: proprio quello che non si deve fare. Un Priore provinciale è a servizio della fraternità; è “Priore”, nel senso latino di “primo tra i pari”, mai al di sopra degli altri, ma, nello spirito del Vangelo che la Regola carmelitana raccomanda, il servo di tutti, ad immagine di Cristo. Nell’Ordine Carmelitano, come in tutti gli altri Ordini (Francescani, Domenicani, Agostiniani…), abbiamo un Priore generale e tanti Priori quante sono le Comunità locali; come figura intermedia c’è proprio il Priore provinciale, il quale serve l’Ordine in una particolare ripartizione geografica, come la nostra che comprende l’Italia del Centro-Nord e le Isole, ma anche le missioni carmelitane ormai numerose in Congo, Colombia e Romania. Il mio compito, insieme ad un Consiglio di cinque Confratelli, è tenere in continua comunicazione tra loro tutte le Comunità, sovrintendere alla formazione, sostenere negli aspetti amministrativi, tenere i rapporti con i Vescovi e le Diocesi nelle quali siamo presenti».

 

- I Carmelitani in Italia, in particolare in Sicilia, sono presenti da anni, in alcuni casi da secoli. In un periodo in cui molti conventi sono stati chiusi, cosa ha spinto l’ordine dopo 28 anni a tornare a Licata?

«Quando lasciammo Licata, nel 1992, lo facemmo a malincuore. Io ero diacono in quel tempo, e ricordo che eravamo consapevoli di ritirarci da un luogo importante per noi come Ordine e per il nostro servizio alla Chiesa tutta. Sant’Angelo è uno dei primi Santi carmelitani, è parte della radice profonda della nostra Famiglia religiosa. Non avevamo scelta, però, di fronte a quella che già in quel tempo era la crisi delle vocazioni in Italia ed in Europa. Ma la Famiglia carmelitana è rimasta a Licata, attraverso un gruppo di laici che vivono la loro consacrazione battesimale condividendo il dono spirituale, il “carisma” del Carmelo, cioè il Terz’Ordine. In tutti questi anni, sono stati proprio loro a tenere viva la presenza carmelitana e l’animazione liturgica nel Santuario di Sant’Angelo. Quando abbiamo iniziato a pensare al Giubileo degli ottocento anni, l’allora Arcivescovo di Agrigento, il Cardinale Francesco Montenegro, ci propose di riportare la presenza dei Frati. All’inizio ci sembrò qualcosa di impossibile, anche a fronte di altre chiusure che si rendevano necessarie in altri luoghi in Italia; dove avremmo potuto trovare i frati? Ma poi riflettemmo: perché non coinvolgere tutto l’Ordine nel mondo? E così è nata l’idea di una Comunità che proprio sul luogo del martirio di Sant’Angelo, ebreo cristiano di Gerusalemme divenuto Frate carmelitano in Terra Santa e poi venuto a predicare in Sicilia, potesse attecchire con una rappresentanza di Carmelitani da tutto il mondo».

 

- Lei assieme alla Postulatrice generale dell’Ordine, dottoressa Giovanna Brizi, il Priore Provinciale di Malta P. Joseph Saliba, e al responsabile del progetto giovanile della Provincia Italiana dei Carmelitani, Fra (ora Padre) Alfredo Pisana, siete tornati a Licata come ospiti del Terz’ordine Carmelitano e avete assistito alla festa Patronale di maggio. Che impressione avete avuto?

«Era il 2019 e ci affacciavamo per la prima volta. Già da diversi anni un licatese, l’ingegner Giacomo Vedda, si era messo in contatto con il nostro Ordine per ricordarci la ricorrenza; a lui fece eco, nel 2018, l’allora Presidente del Terz’Ordine, il dott. Giuseppe Caci. Insieme all’Archidiocesi, la Postulatrice generale dell’Ordine iniziò a stilare un programma per l’Anno giubilare, interessando anche le istituzioni civili. Durante la Festa di Sant’Angelo nel 2019 a maggio e poi ad agosto ci colpì il forte entusiasmo e il coinvolgimento di moltissimi. Vedemmo anche la necessità di distinguere tra devozione e folklore, così come anche tra interessi vari (appariscenza, prestigio, supremazia) e la disponibilità al servizio nella concretezza silenziosa. Con il rispetto per tutti, ci è parso che diverse consuetudini andassero aggiornate e portate in un alveo di significatività, buon senso e sicurezza».

 

- L’ordine è tornato a Licata con delle promesse ben precise dall’allora Arcivescovo di Agrigento, il Cardinale Francesco Montenegro, ma oggi come vanno le cose?

«Il Cardinale ci chiese di fare del Santuario un “centro di spiritualità”, aperto a tutti, con particolare attenzione a coloro che la società qualifica come “ultimi”. Abbiamo mosso i primi passi in questi tre anni, nonostante la partenza faticosa del primo anno a causa della pandemia, tenendo il più possibile aperto il Santuario al mattino ed al pomeriggio, organizzando momenti di formazione e dedicandoci all’ascolto di tutti. Certo, sarebbe bene per noi avere la possibilità di abitare il Convento, che ventotto anni fa lasciammo agibile e che ora non lo è più. Ringraziamo per la possibilità di abitare la canonica della parrocchia di Sant’Agostino, ma certamente il Convento sarebbe il luogo da fare rifiorire di iniziative, di accoglienza, di vita.

Licata ha bisogno di segni di speranza, di modi di essere e di fare in controtendenza rispetto ad un clima umano ferito, rancoroso e rassegnato, che poi si manifesta in fatti tragici che velocemente si dimenticano. A mio parere, è nel “ripartire dagli ultimi” (persone con disabilità, ragazzi/e bullizzati, anziani, malati, emarginati, migranti) che possiamo avere nuovo respiro. Di certo, noi Carmelitani non siamo venuti a stare comodi, o a consacrare lo “status quo”, o a farci strumentalizzare; non è certo questo che la Chiesa locale chi chiede».

 

- In questo terzo anniversario, può fare un resoconto generale?

«Abbiamo incontrato collaborazione autentica e disponibilità sincera. Non siamo venuti con la pretesa di insegnare, ma abbiamo anzitutto voluto ascoltare ed imparare. Non sono mancate incomprensioni e varie tipologie di problemi; ancora ci chiediamo a chi abbiano potuto giovare certe inutili polemiche.

Di Sant’Angelo abbiamo potuto vedere, dopo quasi quattro secoli, le reliquie, le sue ossa, e questo è stato reso possibile dall’aiuto generoso dei licatesi. Sant’Angelo non è l’Urna d’argento, ma il contenuto, quelle ossa che ci dicono una vita concreta e donata. E noi siamo chiamati ad imitarlo; come dice il nostro Priore generale, P. Míceál O'Neill: un conto è una “tifoseria angelana” e un altro è la devozione che emerge dalle scelte di vita secondo il modello che il Patrono ci ha offerto. L’attuale Arcivescovo, Mons. Alessandro Damiano, ha ricordato il valore di una “devozione feconda” che cambia la vita e la rende Vangelo vissuto.

Penso soprattutto che ancora deve essere messo in piena luce il messaggio di Sant’Angelo: la denuncia del male, la testimonianza del bene fino al dono della propria vita, il valore del perdono. Per chi ha fede, Sant’Angelo ci indica Cristo Gesù».

 


È facile dedurre che la permanenza a Licata dei Carmelitani dipenda da molti fattori. Grazie p. Roberto per la sua semplicità, disponibilità e gentilezza.

Vorrei ricordare una frase del beato don Pino Puglisi, martire dei nostri tempi: «Se ognuno fa qualcosa, si può fare molto».

 

 

 

Viviana Giglia

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