Dalla Francia arriva la proposta del divieto agli Under 15: proibire o educare?

 

Photo by Nenad Stojkovic

Un musicista ultimamente molto citato per via delle sue controverse posizioni, oltre che per il cinquantennale di un album molto celebrato, "The dark side of the moon", nel 1979 diede alle stampe con i Pink Floyd un altro tassello seminale della storia della musica: The Wall.

Roger Waters, questo il nome del musicista, anni dopo associò il muro di quell'album all'ignominiosa barriera che circondava la parte occidentale della città di Berlino, celebrandone la caduta un decennio dopo.

Ma il muro che ispirò a Waters la scrittura dell'album era un altro: quello dell'alienazione, dell'incomunicabilità, del distacco fra persone, del muro che divide uno dall'altro. Questo muro prende sempre più le sembianze di un dispositivo elettronico: lo smartphone. 

Al festival del mobile journalist il presidente dei videomaker italiani Enrico Farro dà una al quanto veritiera definizione: «Lo smartphone è la penna Bic del terzo millennio", prosegue «Cambiano i media, cambiano le tecnologie, cambiano i formati e cambiano i mestieri. Trasformazioni velocissime e continue evoluzioni e rivoluzioni. Saper tenere il passo vuol dire saper giocare la partita. Portare le notizie dove le persone le cercano e fornire ai professionisti il modo per farlo nel modo più efficace. Il Mobile journalism é una scommessa». Però forse è il caso di ammettere che, comodo per chi lavora, ma lo smartphone è considerato la trappola del XXI secolo. Non ci sono differenze di età, ormai è un prolungamento del nostro braccio con tutte APP e la brama di postare tutto.

 

Da qui, nasce la controversa proposta, in Francia, di proibire l'uso dei social ai minori di 15 anni.

Se approvata, verranno bandite l’iscrizione e accesso ai social network fino ai 15 anni: Facebook, TikTok, Instagram, Twitter insomma qualunque piattaforma. In Francia vuol pensarci lo Stato, sperando di riuscire a trovare risposte più dei genitori, con una proposta di legge arrivata all’Asemblée Nazionale dal deputato centrista Laurent Marcangeli del gruppo Horizons. Si parla di sorta di patente per ottenere quel «consenso digitale», un concetto che venne già fissato dall’Unione europea e accolta dagli Stati membri che hanno fissato l’età minima per poter usare i social dai 13 ai 16 anni. Indicazioni che vengono aggirate e non facili da applicare. Tutti abbiamo famiglie e i loro figli minori su Facebook.

 

Però leggiamo un po' la proposta Marcangeli: “«tutelare i più giovani da possibili effetti nocivi per l’uso dei social - così come ha potuto osservare lui stesso con le ansie delle sue figlie di 8 e 10 anni - vogliamo provare a regolare un mondo che non ha regole». L’idea di principio è che l’uso dei social e delle app di messaggistica come Whatsapp per i 15enni deve passare da un’autorizzazione formale dei genitori o di chi ne via le veci. Ma come funzionano le multe? In fase di iscrizione è semplice dichiarare un’età diversa da quella effettiva. La proposta di legge francese prevede che siano le piattaforme a verificare, usando le tecniche di verifica certificate dall’Autorità di regolamento della comunicazione audiovisiva, l’Arcom, per controllare i dati anagrafici. Le multe per le piattaforme non dovranno comunque mai superare l’1% del loro volume di affari. Cifre in teoria non esorbitanti per colossi come Meta, che in Francia richinerebbe di pagare al massimo 1 miliardo di euro. Una prospettiva che potrebbe spingere Mark Zuckerberg a pagare anziché investire risorse nei controlli sui giovani iscritti”. (Fonte: https://www.open.online/2023/03/03/francia-proposta-legge-social-chat-vietati-under-15-come-funziona/)

 

Qui a me, educatrice di professione e giornalista per passione, sovviene subito la domanda: proibire, o educare? Porre un limite ad un fiume ormai in piena, che sta travolgendo non solo gli under 15, o educare per scommettere sul futuro?


Secondo l'OMS il tempo trascorso davanti allo schermo può danneggiare i bambini con sovrappeso, obesità, problemi di sviluppo motorio e cognitivo, e di salute psico-sociale. L'esposizione eccessiva ai dispositivi rischia di ledere la capacità di esprimere emozioni e comunicare efficacemente. Bisogna però capire che un divieto può incrementare la fascinazione del "proibito", o prendere atto che il danno è ormai fatto, e che sono proprio i "nativi digitali" coloro i quali potranno stabilire con le reti sociali un rapporto più equilibrato?

 

Iniziamo con il domandarci: chi sono i nativi digitali? Trovare risposta a questa domanda potrebbe risultare più difficile di quanto si immagini. Comunque è opportuno che si definiscono le caratteristiche anagrafiche che contraddistinguono questa generazione di individui cresciuti a stretto contatto con tecnologie e ambienti digitali dai “digital immigrants”, “migranti digitali” che non sono altro che coloro arrivati più tardi già adulti (o quasi) a familiarizzare con simili realtà.

Forse non sono una fan del proibizionismo, ma a a Firenze, in un istituto che ha seguito la proposta francese, si è sperimentata una settimana offline. Molti effetti positivi si sono registrati, quella che fa riflettere maggiormente è la testimonianza di un'alunna: «Ho ricominciato a leggere e ora non smetto più. Ho anche imparato a fare un uso più consapevole del telefono: quando dormo lo spengo sempre, se esco con gli amici lo lascio in borsa e mi godo la loro compagnia, se studio non lo guardo».

 

Che ne pensate?

 

 

Viviana Giglia

 

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